Cosa succederebbe se la Scozia dovesse diventare indipendente

TUTTI SI RIEMPONO LA BOCCA CON PAROLE COME SEPARATISMO, AUTONOMISMO, INDIPENDENTISMO, SECESSIONISMO. MA POCHI PARLANO DELL’INEVITABILE DESTRUTTURAZIONE DELLO STATO NAZIONE

Tra qualche giorno, il 18 settembre, si voterà per il referendum che dovrebbe decidere se la Scozia dovrà continuare a far parte del Regno Unito o se diventerà un nazione indipendente. I giornali hanno riempito le prime pagine dei pareri di eminenti uomini politici e di attori, di calciatori e di artisti (se ne è parlato addirittura all’Edinburgh Festival Fringe, una delle più importanti rassegne dedicate all’arte).

In realtà, però, al di là di considerazioni abbastanza superficiali, solo in pochi si sono presi la briga di analizzare quali sarebbero le conseguenze per la Scozia, l’Inghilterra e l’UE nel caso in cui dovessero vincere i “sì”. Tanto più che in Europa, a voler seguire le orme della Scozia, non sono in pochi. E tutti, dalla Sicilia al SudTirol, dalla Catalogna alla Scozia, sarebbero chiamati, una volta riavuta la propria autonomia, a rispondere alle stesse domande.

Se le due colonne portanti del Regno Unito, dopo 307 anni, dovessero separarsi, il primo problema forse sarebbe quale forma di governo dovrebbe essere adottata dal neonato (ma sarebbe meglio dire “rinato”) Stato di Scozia. Secondo alcuni Elisabetta potrebbe restare sovrana anche della Scozia; altri, invece, ritengono che gli scozzesi potrebbero rinunciare definitivamente alla monarchia per scegliere altre forme di gestione della cosa comune.

La seconda domanda, ancora più importante, riguarderebbe la valuta da adottare in Scozia nel caso i cui vincessero i separatisti. Sarebbe ancora la sterlina la loro moneta (e, in questo caso, in che rapporto con il resto del Regno Unito? Quale banca centrale dovrebbe occuparsene?) o gli scozzesi deciderebbero di aderire all’euro (eppure uno dei prerequisiti necessari per aderire alla zona Euro è far parte dell’Unione Europea, senza contare che il prossimo presidente della Commissione Europea ha già annunciato che non vi saranno nuove adesioni nei prossimi 5 anni)? Oppure, come è già successo (a Panama con il dollaro), gli scozzesi decideranno di mantenere come moneta propria quella vecchia seppure senza l’autorizzazione dei britannici?

Anche l’alternativa di stampare la propria moneta e creare una banca centrale indipendente richiederebbe tempi lunghi. Per forzare la mano ai politici britannici, Salmond, leader degli indipendentisti, ha minacciato di andare in default sulla quota di debito spettante alla Scozia, costringendo il Governo di Londra a pagarlo.

E man mano che si analizza a fondo la questione “indipendentismo”, la situazione pare ingarbugliarsi sempre di più. Ad esempio, in caso di separazione, il Regno Unito rinuncerebbe al petrolio scozzese? Dal 1979 a oggi, dei 60 miliardi di barili estratti nel Regno Unito, più dei due terzi provengono dal mare del Nord e, quindi, diventerebbero “scozzesi”.

Secondo l’Istituto Nazionale della Ricerca Economica e Sociale inglese (Niesr), in caso d’indipendenza, alla Scozia andrebbe il 91% dei ricavi derivanti dall’estrazione e raffinazione del petrolio. Ma l’estrazione e la raffinazione finora sono state fatte grazie a risorse economiche private (BP) e pubbliche (del Governo britannico) inglesi. Cosa succederebbe in caso di secessione?

Come spiega Richard Kerley, responsabile del Centro Studi scozzese per le politiche pubbliche, “è il petrolio della Scozia, e ci sono dei precedenti riguardo le diverse possibili spartizioni dei fondali. La questione non è così semplice come sembra: dovrebbero esserci dei negoziati per trovare un accordo tra una Scozia indipendente e il resto del Regno Unito”. Negoziati che richiederebbero tempo e che avrebbero conseguenze non da poco sull’economia dei due Paesi.

Anche l’aspetto militare non sarebbe secondario: anzi pare che uno dei punti più controversi del dibattito referendario sia proprio questo. Oggi, circa il 30% dell’esercito britannico è costituto da soldati nati in Scozia. E sono numerosi i battaglioni di “origine territoriale scozzese”. Nessuno ha ancora saputo fornire chiarimenti dei sottomarini nucleari Trident dell’esercito britannico, fino ad ora di stanza e gestiti nei porti scozzesi.

Secondo il Ministro della Difesa di Sua Maestà, Philip Hammond, l’esercito britannico è un meccanismo talmente integrato e sofisticato che dividerlo “come una barretta di cioccolato” sarebbe praticamente impossibile. Senza considerare che una divisione renderebbe più deboli entrambi i nuovi Stati. A meno che, ovviamente, non venissero sottoscritti accordi a tal scopo, ma per farlo ci vorrebbe tempo.

Angus Robertson, responsabile difesa dello SNP, starebbe già cercando di individuare nuovi sistemi di difesa simili a quelli di Norvegia e Danimarca. Senza dimenticare che il Regno Unito è uno dei cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, e probabilmente continuerebbe ad esserlo anche in caso di vittoria dei secessionisti. Ma cosa accadrebbe alla Scozia?

Ancora: il 90% dell’energia idroelettrica britannica è scozzese. Non solo, ma senza le rinnovabili scozzesi Inghilterra, Galles e Irlanda del Nord non rispetterebbero l’obiettivo europeo di taglio delle emissioni e di aumento dell’uso di energie rinnovabili entro il 2020. E sarebbero costretti a pagare multe salate. Per contro, senza gli incentivi alle rinnovabili pagati dai cittadini britannici, il costo per l’energia sostenuto dai cittadini scozzesi aumenterebbe non poco.

La “divisione” potrebbe portare anche problemi dal punto di vista finanziario: in che modo dovrebbero essere ricalcolati dati importanti per i rapporti internazionali come il Pil o il debito pubblico? Il Nisr ha provato a fare delle simulazioni, ma si tratta di meri studi ragionieristici. Anche perché non sarebbe facile calcolare dati come quelli legati alla sanità o alla previdenza.

Anche il sistema economico stretto potrebbe subire uno shock in caso di secessione. Nei giorni scorsi tre banche (Royal Bank of Scotland, Lloyds, entrambe parzialmente possedute dal governo britannico, e Clydesdale australiana) hanno minacciato di lasciare la Scozia in caso di vittoria dei secessionisti. Le tre banche hanno già anticipato che, nell’eventualità, sposteranno oltre confine domicilio fiscale, operazioni e holding di controllo.

Non bisogna dimenticare che, ad oggi, l’economia del Regno Unito vale qualcosa come 2 mila 443 miliardi di Euro, mentre quella della Scozia solo 193 miliardi. Una scissione dei due mercati finanziari avrebbe conseguenze negative non indifferenti sull’economia dei promotori del “sì”.

Quanto ai mercati, sono diverse le previsioni. Secondo Kit Juckes, forex strategist di Société Générale, se la Scozia votasse a favore dell’indipendenza, la moneta britannica potrebbe svalutarsi al massimo del 5%. Di parere diverso Kevin Daly, economista di Goldman Sachs: “Nel caso in cui si assista a sorpresa alla vittoria dei sì, le conseguenze a breve termine per l’economia scozzese, e più in generale per quella del Regno Unito, potrebbero essere disastrose”.

Senza dimenticare problemi più contingenti come ad esempio il problema dei protocolli per le telecomunicazioni (in parole povere i prefissi internazionali e le connessioni internet).

Problemi potrebbero derivare anche dagli equilibri politici nei due Paesi. Senza la Scozia, e il suo elettorato prevalentemente di “sinistra”, il Regno Unito avrebbe un forte spostamento a “destra”. Con conseguenze non prevedibili, ad esempio, nel caso di un referendum britannico sull’uscita dall’Unione Europea.

La verità è che di separatismo, di autonomismo, di indipendentismo e di secessionismo, fino ad ora si sono riempiti la bocca centinaia se non migliaia di personaggi politici. A tutti i livelli e in tutta Europa. Ma nessuno di loro ha compreso che il vero problema è la destrutturazione dello Stato Nazione così come abbiamo lo vissuto per decenni.

Molti degli Stati europei sono stati “creati” non su solide basi storiche e culturali, ma sulla base di accordi politici e programmatici internazionali. Fino a quando le condizioni economiche lo hanno consentito, pochi hanno sentito la necessità di fare riferimento a unità culturali e nazionalistiche che in Europa e in molti dei Paesi che la compongono non sono mai esistiti. Ma quando i cittadini sono stati spremuti da un crisi economica voluta da pochi, in molti non si sono più identificati con miscugli culturali ed economiche e sono emerse le differenze tra i vari popoli. E molti hanno capito che forse, da soli, si potrebbe starebbe meglio…

 

 

 


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