Nelle carte dell'operazione Anno zero spunta anche un progetto, poi abortito, di occuparsi di rifiuti e, in particolare, del percolato, a Campobello di Mazara. Le interlocuzioni durano pochi mesi, prima di essere bruscamente stoppate dalle inchieste della procura di Palermo, ma arrivano a immaginare anche contatti con Leoluca Orlando
Cosa nostra, gli appetiti dei clan sulle discariche Tra richieste d’intercessione e incontri alla Oikos
Il business dei rifiuti a Campobello di Mazara faceva gola ai clan vicini a Matteo Messina Denaro, tanto da pensare anche di chiedere l’intercessione persino del sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, perché ritenuto in grado di dialogare con la nuova commissaria dell’Ato Tp2. In ballo c’era lo smaltimento del percolato prodotto dalle discariche siciliane, che avrebbe dovuto essere dirottato verso la Calabria. Secondo gli investigatori, il piano c’era già nel 2013: un’idea che sarebbe stata portata avanti dal gruppo mafioso guidato da Raffaele Urso. Il braccio operativo di quest’ultimo sarebbe stato Giuseppe Marcianò, campobellese di origini carinesi, che avrebbe avuto il ruolo di allacciare i contatti necessari per poter realizzare il disegno. È questa una delle storie che emerge dalle carte dell’operazione Anno zero, che ha raso al suolo un presunto sistema di aiuti al superlatitante di Castelvetrano.
Secondo le intercettazioni, a ottobre 2013, per il progetto di smaltimento del percolato, Marcianò sarebbe stato inviato in missione esplorativa a Motta Sant’Anastasia, in provincia di Catania. Non un Comune a caso, ma quello in cui ha sede l’azienda Oikos, ditta che si occupa di raccolta e smaltimento dei rifiuti e i cui vertici sono stati coinvolti nell’inchiesta Terra mia su un presunto giro di corruzione. All’interno di un’area di Oikos sarebbe avvenuto l’incontro tra Marcianò – ucciso a colpi di pistola nel 2017 – e un certo Carmelo Munzone. Classe 1976, in passato finito in manette perché ritenuto affiliato al clan catanese dei Carcagnusi. Quello che si siano detti in quella giornata autunnale di cinque anni fa non è dato sapere. Ciò che si sa è che di ritorno dal capoluogo etneo Giuseppe Marcianò e un compaesano fanno sosta a Carini, nel Palermitano.
L’appuntamento, stavolta, è con Pietro Conigliaro, detto Mattarella per la vantata conoscenza col presidente della Repubblica, esponente dell’Italia dei valori, candidato due anni prima alle elezioni comunali del paese alle porte di Palermo e già assessore. Un incontro importante, secondo Marcianò. È infatti quest’ultimo il giorno dopo, parlando con il padre, a raccontargli la possibile utilità di Conigliaro: vista la vicinanza politica, Pietro Conigliaro – dice Marcianò – avrebbe potuto intercedere con Leoluca Orlando, o con qualcuno del suo entourage, per ottenere un «canale privilegiato». L’obiettivo finale, però, non sarebbe stato il primo cittadino palermitano, bensì l’allora dirigente dell’Ato Tp2, con la quale sarebbe stato necessario parlare per concretizzare il progetto di «essere scelti quali aggiudicatari del servizio di gestione dei rifiuti». Un’idea che a Conigliaro, però, non sarebbe mai arrivata.
«Conoscevo Giuseppe Marcianò – dice il carinese a MeridioNews – E sì, ci siamo anche incontrati, ma ricordo che abbiamo parlato soltanto di olive, perché lui era un produttore. Mi aveva offerto diverse volte delle olive e sono anche andato a Campobello di Mazara a prenderle con un mio cugino, ma non abbiamo mai parlato di discariche o di rifiuti». Ed è proprio sulla strada verso la sua campagna che, nel 2017, Giuseppe Marcianò è stato trovato morto, ucciso da colpi di arma da fuoco nei pressi di Tre fontane, frazione di Campobello di Mazara. «Ho saputo della sua morte dai giornali – continua Conigliaro – A me era sempre sembrata una persona a modo». L’ex assessore smentisce anche qualsiasi intercessione con il sindaco di Palermo: «È vero, conosco Orlando per via della mia storia politica, ma non gli ho mai chiesto niente e non ho mai sentito parlare di rifiuti nel Trapanese, tanto meno da Marcianò».
Sull’asse Palermitano un’altra figura avrebbe avuto contatti con Marcianò e Urso. Si tratta di Paolo Lo Voi, da tempo indicato come vicino alla famiglia mafiosa Buccafusca-Savoca. Anche Lo Voi avrebbe dovuto prendere parte all’appuntamento a Motta Sant’Anastasia, ma pare abbia rinunciato per un impegno personale. Il palermitano e i due campobellesi avrebbero poi dovuto continuare il viaggio oltre lo Stretto, fino in Calabria, dove avrebbero dovuto trattare con alcune persone del luogo il trasferimento del percolato. «Bisogna fare comprendere che in Sicilia non ci sono imprese che possano smaltire… E quindi per forza il materiale deve essere scaricato a Vibo Valentia e le tariffe sono quelle che abbiamo discusso noi. Punto!», diceva Lo Voi a Marcianò in una telefonata intercettata dai carabinieri. Il piano tuttavia è destinato a fallire.
Un’operazione di febbraio 2014 stringe le manette attorno ai polsi del cognato di Paolo Lo Voi, accusato di gestire una discarica abusiva – anche di rifiuti pericolosi – nella zona di Falsomiele. A quel punto, l’interesse nel settore della spazzatura avrebbe dovuto essere ridimensionato, prima che i collegamenti diventassero troppo stretti. A mettere definitivamente la pietra tombale sul proposito espansionistico che avrebbero avuto Marcianò e, per suo tramite, Raffaele Urso è, secondo i magistrati di Palermo, un altro blitz ben più corposo: la già citata inchiesta Terra mia a carico, tra gli altri, di Mimmo Proto, patron della Oikos. L’intervento della procura panormita avrebbe provocato uno stop nelle mire imprenditoriali dei due nel già affollato settore della gestione dei rifiuti.