Coronavirus, intervista all’infettivologo Iacobello «Siate disciplinati per evitare problemi in futuro»

Il nuovo coronavirus non ha deposto le armi. Contrariamente a quanto si possa immaginare la battaglia non è ancora vinta. Lo sanno bene scienziati e medici che continuano a predicare come l’utilizzo delle mascherine resti fondamentale in chiave prevenzione. «Essere disciplinati consentirà di non avere problemi in futuro», spiega a MeridioNews Carmelo Iacobello, primario di Malattie infettive dell’ospedale Cannizzaro, ormai da mesi in trincea nella lotta contro il Covid-19. 

Terminato il periodo di lockdown com’è la situazione in Sicilia?
«Non abbiamo più ricoveri e adesso all’ospedale Cannizzaro siamo pure covidfree. Bisogna però distinguere il soggetto con una sintomatologia da covid, come quelli che abbiamo avuto nei 60 giorni del periodo più drammatico della pandemia, da quelli che sono i tamponi positivi. In questo periodo, anche in Lombardia, ci sono pochi ricoverati e quelli che vengono intercettati sono positivi asintomatici. Questo significa che il virus in qualche modo ha subito un depotenziamento o è migliorata la risposta del singolo individuo». 

Tante buone notizie che, forse, hanno contribuito ad abbassare l’attenzione della popolazione nei confronti delle prescrizioni?
«Una componente importantissima deve essere assegnato al lockdown e all’uso di mascherine protettive e gel igenizzante per le mani. Tutte condizioni utili per limitare il passaggio del virus dal contagiato al ricettivo. Credo quindi che continuare ad essere disciplinati e a rispettare le regole sia fondamentale per non avere altri problemi in futuro». 

Da settimane leggiamo di un possibile ritorno della pandemia, con una intensità pari o maggiore, durante l’inverno. Può confermare questo scenario?
«Da un punto di vista scientifico non c’è nessuna evidenza di questo. Quindi non siamo in grado di potere dire che cosa possa succedere in inverno. Trovo scientificamente non corretto dare questo tipo di informazioni, non essendoci evidenze scientifiche diventa quindi un esercizio più di cartomanzia che altro». 

Ma c’è comunque una prospettiva per un futuro non troppo lontano?
«Possiamo riportare quella che è l’esperienza passata con i coronavirus. Nel 2002 la Sars, che fu quella che determinò un rischio di pandemia, durò sei mesi e si concluse senza grossi problemi con circa 8000 contagi in tutto il mondo e pochissime nazioni coinvolte con una mortalità del 10 per cento. Successivamente abbiamo avuto la Sindrome respiratoria medio-orientale, che aveva nei cammelli il serbatoio animale per il trasferimento del virus all’uomo e anche in questo caso non c’è stata una diffusione di tipo pandemico. Se questi sono i precedenti è possibile che anche questo virus possa smettere la sua capacità di sviluppare la pandemia. Prima bisognerà capire cosa succederà nei paesi in cui la malattia è ancora attiva: Russa, Stati Uniti e Sud America. C’è poi la grossa incognita dell’Africa».

Il nostro sistema sanitario questa volta riuscirà a reggere?
«Siamo decisamente più preparati rispetto alla prima ondata. Se dovesse essercene una seconda siamo nelle condizioni di potere gestire meglio tutto. Le strutture ospedaliere si sono attrezzate per avere dei percorsi protetti rispetto alla potenziale diffusione all’interno degli ospedali. Malattie infettive e Rianimazioni hanno incrementato i posti letto. Al Cannizzaro potremmo garantire fino a 120 posti da assegnare e questo è un progetto già attuabile, e lo stesso vale per gli altri ospedali. L’effetto sorpresa iniziale in un certo senso non potrà essere riproposto».

Eppure negli ospedali non è ancora possibile prenotare visite e per ritirare farmaci ci sono grosse difficoltà.
«In tutta Italia, in particolare in Lombardia, le residenze per anziani e gli ospedali, si sono dimostrati i luoghi più fragili per la diffusione della malattia. Credo che in questo momento sia corretto un atteggiamento prudente per tutti coloro che accedono negli ospedali. Bisognerà attendere ancora qualche mese per capire come si svilupperà la pandemia e per capire quanto siano realmente contagiosi i covid positivi asintomatici, perché su questa questione le idee non sono molto chiare. L’idea, al momento, è che chi è positivo abbia basse probabilità di trasmetterla a soggetti potenzialmente recettivi. Tutto questo però deve essere valutato nel tempo».

Qual è la sua opinione sui test sierologici? 
«Il test sierologico serve più allo screening di massa per capire chi ha avuto contatti con il virus e capire se è rimasto immunizzato o se il contatto è stato recente. Fuori da questo aspetto il test non ci dirà mai se il soggetto positivo al test è anche portatore del virus. L’unico vero esame per capire l’attuale è quello del tampone, che rimane il gold standard. Il test ci dice qualcosa di pregresso».

Il vaccino sarà l’arma vincente? 
«I vaccini sono la soluzione migliore per bloccare una pandemia. Sul vaccino ci sono numerosi punti interrogativi perché bisogna comprendere la capacità di evocare una risposta immunitaria efficace. Per averne uno disponibile su ampia scala ci vorranno ancora molti mesi. Prima, comunque, verrà utilizzato sugli operatori sanitari e poi verrà allargato al resto della popolazione». 


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