Piero Pollichino, reggente di Contessa Entellina, non gradiva la gestione del mandamento affidata Rosario Lo Bue, finito oggi in manette nell'ambito dell'operazione antimafia Grande Passo 3. La sua investitura ufficiale arrivava da Provenzano, ma la linea prudente creava fibrillazioni. E così i mafiosi del corleonese pensavano a scissioni e azioni eclatanti
Corleone, le lamentele dei boss e la nostalgia di zu Totò «Se avevamo Riina qua… ma nessuno fa niente per lui»
«Totò (Riina, ndr) ha capito tutte cose… se avevamo lui qua». Piero Pollichino, reggente di Contessa Entellina, si lamentava. La gestione del mandamento affidata Rosario Lo Bue, investito direttamente da Provenzano, non lo soddisfaceva. Troppo prudente e, invece, c’era da «non perdere la faccia», da cafuddare al ministro dell’Interno Angelino Alfano, che si era scordato di «chi glielo ha portato là con i voti di tutti…degli amici». Una visione condivisa da Pietro Paolo Masaracchia, capofamiglia di Palazzo Adriano: «… ma nessuno però fa niente per lui (Riina, ndr) … nessuno, non gli dà conto più nessuno, lui si lamenta, si fa, si dice…». Fibrillazioni e malumori che alimentavano ambizioni, come quella di Vincenzo Pellitteri, capo famiglia di Chiusa Sclafani finito oggi in manette nell’ambito dell’operazione antimafia Grande Passo 3 eseguita dai carabinieri, che insieme a Masaracchia sogna, spiegano gli investigatori, «un’articolazione criminale autonoma».
Un nuovo mandamento separato da quello di Corleone che racchiudesse insieme Palazzo Adriano, Chiusa Sclafani e Contessa Entellina. In una conversazione in auto intercettata nel settembre del 2014 i due boss rievocavano i rituali della leggendaria setta dei Beati Paoli, riunioni a lume di candela nella penombra dei sotterranei di Palermo. Vendicatori-giustizieri nati con l’obiettivo di vendicare i torti subiti dalla povera gente contro i forti saliti al potere. E per dare forza e autorevolezza al loro progetto immaginavano azioni eclatanti e contemporanee da mettere a segno nei paesi di loro competenza. Unica strada secondo i nuovi padrini del corleonese per affermare la loro nuova ed autonoma supremazia. Come era avvenuto per la Stidda ai tempi del giudice Livatino.
Bisognava pazientare, però. Lo sapevano i mafiosi fedeli alla linea di Totò Riina, che spingevano per l’attentato al capo del Viminale. Un’attesa che sarebbe stata ripagata con la scarcerazione, prevista nel 2018, di Giovanni Grizzaffi, nipote di zu Totò. L’unico secondo loro in grado di sovvertire il potere di Rosario Lo Bue, l’erede di Provenzano che incontrava i suoi uomini in mezzo alle campagne, in terreni desolati tra pascoli ed ovili, e che a tutti predicava la pace e recitava i versetti della Bibbia. In carcere lui c’era già stato nel 2008 nel corso dell’operazione Perseo. Poi assolto in via definitiva in virtù dell’inutilizzabilità delle intercettazioni era ritornato a casa. A Corleone. Per governare secondo la linea della mediazione e della prudenza dello stesso Provenzano.