«Noi qui non facciamo altro che scavare trincee, come se fossimo in guerra». A parlare a MeridioNews sono alcuni produttori di arance di contrada Xirumi, la zona della Piana a cavallo tra le province di Catania e Siracusa. Sono passate più di tre settimane da quando, tra quelle campagne, sono stati uccisi il 47enne Massimo Casella e il 18enne figlio della sua compagna Agatino Saraniti ed è stato gravemente ferito il 36enne Gregorio Signorelli. Accusato di quanto avvenuto la notte tra tra il 9 e il 10 febbraio, il custode di 42 anni Giuseppe Sallemi è stato arrestato subito dopo. Quando ha confessato, ha dichiarato di avere agito da solo e per legittima difesa. Giorni dopo è avvenuto il fermo del suo presunto complice: il 70enne pensionato Luciano Giammellaro. E la tesi della legittima difesa ha cominciato a vacillare in seguito ai primi risultati dell’autopsia. Sin da subito, la scena del crimine è stata definita dagli inquirenti «cruenta e complessa». «Nemmeno dopo questo episodio drammatico, ho visto forze dell’ordine presidiare quest’area», lamenta uno dei produttori che, da tempo, chiedono «l’intervento dell’esercito, perché quello dei furti è diventato un fenomeno sistematico che la guardiania non può risolvere».
I LUOGHI DEL CRIMINE
Percorrendo una strada – la Sp 69/II – che porta ancora i segni dell’alluvione dell’autunno 2018, si arriva in contrada Xirumi. Una zona di aperta campagna verdeggiante che si divide tra aranceti e terreni in cui gli alberi sono solo tronchi con dei rami secchi. In molti degli appezzamenti, le reti sono strappate o bucate, sotto alle recinzioni sono stati scavati dei grossi fossati e alcuni muretti sono stati distrutti. Nell’erba spesso si notano i segni del passaggio di macchine e trattori. In alcuni guardrail sono rimasti ancora dei pezzi di nastro di plastica rosso e bianco della scientifica che tracciavano i diversi perimetri della scena del crimine. Un’area piuttosto vasta nella quale non è stato ancora possibile individuare con precisione né gli alberi da cui sarebbero state rubate le arance, né il punto (o i punti) in cui sono stati esplosi i colpi. A chiarire quest’ultimo aspetto dovrebbe essere, infatti, l’esame dei periti della balistica che, a giorni, torneranno in contrada Xirumi per ricostruire la dinamica.
LA TRAZZERA
Una grande freccia arancione disegnata sull’asfalto indica la trazzera che, oltrepassata una sbarra di ferro arrugginito, conduce a uno dei luoghi del crimine. Nell’area non distante da un piccolo agrumeto è stato ritrovato, raggomitolato, il corpo di Massimo Casella. La coperta termica argentata e dorata che copriva il suo corpo, adesso sventola da quello che rimane delle travi del tetto crollato di un immobile semi diroccato. Ucciso da un solo colpo di fucile, sparato dall’alto verso il basso, che lo ha raggiunto all’addome trafiggendo polmoni e pancreas. Diverse centinaia di metri più su era parcheggiato il suo furgone Fiat Doblò pieno di arance, con la centralina staccata e il portellone posteriore impossibile da aprire per danni al paraurti successivi al furto.
IL CIGLIO DELLA STRADA
Accanto a un guanto blu utilizzato dalla polizia scientifica per i rilievi, una coperta termica rimasta incastrata tra le sterpaglie segna con precisione il punto in cui è stato rinvenuto il cadavere di Agatino Saraniti. Un avvallamento tra la strada (dove è ancora visibile una grossa macchia di sangue e anche diverse gocce) e i campi in cui, però, di alberi di arance non c’è traccia. Un terreno incolto al limite del quale il corpo senza vita del 18enne era stato visto dai parenti, dopo due ore dal ritrovamento di Casella e a circa 150 metri di distanza in linea d’aria. «Era coperto di erba e di terra come se qualcuno lo avesse trascinato lì», avevano raccontato a MeridioNews i familiari. La maglietta era sollevata e avvolta dietro al collo, mentre i pantaloni della tuta tirati giù fino alle caviglie. Gli spari che l’hanno colpito sarebbero tre: il primo al gluteo destro, poi uno a distanza più ravvicina al centro della schiena e l’ultimo, quando era già a terra, sullo stomaco a bruciapelo, a contatto con la pelle nuda.
DALL’ALTRO LATO DELLA STRADA
Per arrivare al posto in cui è stato trovato Gregorio Signorelli, l’unico sopravvissuto alle fucilate, bisogna percorrere la provinciale 69/II per circa 500 metri – che in aperta campagna sembrano molti di più – e attraversare dall’altro lato della strada. A piedi, camminando a passo normale ai margini della carreggiata, ci voglio all’incirca quattro minuti. Da un lato ci sono solo campi incolti e terreni con alberi secchi, dall’altro invece ci sono gli aranceti di una grande azienda agricola. È a ridosso di questi che si è trascinato Signorelli dopo essere stato gravemente ferito da un colpo di fucile. Da lì ha telefonato alla moglie per dare l’allarme e chiedere soccorso. In una intervista esclusiva rilasciata a MeridioNews, Signorelli ha ricostruito la dinamica di quella notte parlando anche di un terzo uomo «che ci ha sbarrato la strada con un’altra macchina (una Alfa Romeo, ndr) rispetto alla jeep con cui erano arrivati i primi due».
LE TRINCEE DI GUERRA DEI PRODUTTORI
«Noi qui non facciamo altro che scavare trincee, come se fossimo in guerra». Le trincee di guerra della Piana di Catania sono i fossati che i produttori scavano tra la strada e i propri terreni. «È un modo per provare a scoraggiare le bande di ladri, composte anche da quattro-cinque persone, che quotidianamente provano a rubare i nostri prodotti», racconta uno degli imprenditori agricoli di contrada Xirumi che ha circa 40 ettari di terreni coltivati e 16 telecamere installate per controllarli. Dalla stima fatta dagli agricoltori, ogni anno, finisce nelle mani dei ladri circa metà della produzione. «Vengono con macchine rinforzate, furgoni e, addirittura nei posti in cui sanno di trovare qualcuno più debole, anche direttamente con i camion. Se il produttore è solo – continua – gli lascia portare via le arance ma, se lo fa una volta, poi è finita e si può mettere l’anima in pace che non ne raccoglie più». Un fenomeno sistematico che gli imprenditori provano ad arginare anche con le denunce. «L‘intervento delle pattuglie, però, non riesce a essere tempestivo – lamentano – Per questo abbiamo chiesto una postazione fissa dell’esercito. L’altro aspetto – continuano – è che, anche quando vengono arrestati poi tornano liberi dopo un paio di giorni, vengono di nuovo a rubare e ci ridono in faccia». La rabbia dei produttori, esasperati dal dovere lottare per salvaguardare i propri terreni, è alimentata dalla convinzione che «nessuno vuole risolvere davvero questo problema, perché basterebbe andare nelle bancarelle dove, sapendo di restare impuniti, scrivono “arance rubate”, qualche volta perfino indicando la zona da cui sono state prese. La guardiania – affermano – non è una soluzione che funziona».
Il TIRO ALLA FUNE TRA GUARDIE E LADRI
«Qui funziona con guardiani di zona che danno un occhio a terreni di varie aziende agricole. Ma questi, quando si trovano di fronte bande di ladri – spiega uno degli imprenditori – se sono seri spendono qualche parola per il produttore e cercano di farsi rispettar, altrimenti si girano dall’altra parte. In ogni caso, spesso per non avere problemi, i guardiani qualche regalo lo fanno». In pratica, gli imprenditori si ritrovano a pagare qualcuno che si occupi della guardiania senza avere la garanzia di evitare che i loro prodotti vengono portati via. D’altra parte, però, non avere guardiani è impossibile. «In quel caso, sarebbe lo stesso custode che si occupa della zona a indirizzare i ladri sui terreni che non controlla: “Andate là che è un posto in cui non mi busco (guadagno, ndr) il pane“». Tra guardiani e ladri, insomma, si crea una sorta di tiro alla fune che, ogni tanto, si spezza. «Conosco guardiani – racconta uno dei produttori – che hanno puntato il fucile in mezzo agli occhi ai ladri per farli andare via. Quello che è accaduto quasi un mese fa è un caso limite ma – avverte – se non aumenteranno i controlli, temo che episodi simili potranno verificarsi ancora».
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