Arriva nell’
aula consiliare di palazzo degli Elefanti lo scontro tra il presidente e il consiglio d’amministrazione del Teatro Stabile e i consiglieri del senato cittadino. All’ultimo punto all’ordine del giorno della seduta di oggi appare infatti la richiesta di dimissioni di Nino Milazzo e del cda dello Stabile etneo. A proporlo gli esponenti del gruppo Area popolare, lo stesso che chiede e ottiene il prelievo del punto e la votazione in forma segreta perché «si parla di persone e dimissioni», precisa il capogruppo Manlio Messina. La prima espressione di voto registra la mancanza del numero legale di consiglieri in aula con 19 voti favorevoli, uno contrario e un astenuto. E anche alla seconda tornata, un’ora dopo, il risultato non cambia. Gli animi dei consiglieri comunali si accendono. Alcuni urlano «venduti» ai colleghi che hanno preferito rimanere fuori dall’aula, altri si dicono «schifati da un comportamento del genere». A destare le maggiori perplessità, l’uscita dall’aula di due esponenti del gruppo Catania Futura, Salvatore Spadaro e Alessandro Messina.
«Puntiamo a riuscire nel nostro intento alla prossima seduta», è il commento di Messina. Che poco prima della votazione attacca l’amministrazione comunale colpevole di «snobbare il lavoro dei consiglieri comunali». «Perché non si capisce che quest’aula è l’organo da cui passano tutte le decisioni? Perché si vuole continuare nel raggirare i catanesi?», attacca Messina. Una denuncia che con toni diversi arriva da più parti politiche. A scatenare la miccia è la
presenza all’ordine del giorno di punti già discussi da più di un anno e di interpellanze rimaste senza risposta da quasi due. «È necessario che questo Consiglio torni a fare politica senza perdere tempo su questioni superate e – interviene Niccolò Notarbartolo del Pd -, bisogna avere riscontri più veloci».
La prima segnalazione di «perdita di tempo nell’economia dei lavori di quest’organo» arriva da
Agatino Lanzafame del gruppo Con Bianco per Catania. La sua interpellanza su questioni relative al pagamento della Tares è già stata discussa da un anno e mezzo. «Non facciamoci prendere per cretini riproponendo dopo anni la stessa interrogazione», afferma il consigliere. E si rivolge alla presidente del Consiglio Francesca Raciti: «Chiaramente non è nelle sue funzioni espungere alcuni punti però, leggendo il documento proposto dalla conferenza dei capigruppo, può intervenire». La replica di Raciti è secca: «Non potete chiedere alla presidenza le risposte che desiderate, io posso soltanto sollecitare», afferma. Sebbene però nessun consigliere abbia chiesto a Raciti alcuna risposta politica. «Oltre a sollecitare gli uffici preposti io, non posso fare nulla», rincara la dose la presidente, costretta più volte a richiamare l’ordine in aula con la minaccia di sciogliere la seduta. Una minaccia risolta dall’uscita spontanea di diversi consiglieri al momento della votazione. E a mancare è ancora una volta il numero legale dei presenti.
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