Beni per 18 milioni di euro sono stati confiscati agli eredi di un imprenditore – Vincenzo Guglielmino, deceduto nel 2018 – operante nel settore della raccolta di rifiuti solidi urbani e ritenuto contiguo alla criminalità organizzata. La confisca, che è stata eseguita dalla direzione investigativa antimafia di Catania, riguarda due aziende adesso amministrate dal tribunale, […]
Catania, confiscati 18 milioni di euro agli eredi del «volto imprenditoriale» del clan Cappello
Beni per 18 milioni di euro sono stati confiscati agli eredi di un imprenditore – Vincenzo Guglielmino, deceduto nel 2018 – operante nel settore della raccolta di rifiuti solidi urbani e ritenuto contiguo alla criminalità organizzata. La confisca, che è stata eseguita dalla direzione investigativa antimafia di Catania, riguarda due aziende adesso amministrate dal tribunale, tramite un amministratore giudiziario appositamente nominato, oltre a unità immobiliari, un’auto e rapporti bancari e finanziari. L’imprenditore, nel 2017, era stato arrestato nell’ambito dell’operazione di polizia denominata Piazza pulita, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Catania perché ritenuto responsabile dei reati di tentata estorsione aggravata e danneggiamento aggravati dal metodo e dalle modalità mafiose. Reati che sarebbero stati commessi dall’imprenditore, ritenuto vicino al clan Trigila, nei confronti di una società che gestiva il servizio di raccolta rifiuti a Noto, in provincia di Siracusa.
L’anno dopo, Guglielmino è stato nuovamente, arrestato dalla Dia in esecuzione di un provvedimento applicativo di misura cautelare nell’ambito dell’operazione Gorgoni, per concorso in corruzione e in turbativa d’asta e di intestazione fittizia di beni, reati tutti aggravati dal metodo mafioso (clan Cappello). Dalle due inchieste sarebbe emerso il profilo tipico dell’«imprenditore mafioso». Anche il giudice per le indagini preliminari lo aveva definito «il volto imprenditoriale» del clan Cappello. L’imprenditore catanese da una parte riceveva protezione riuscendo a ottenere l’affidamento di importanti appalti pubblici, dall’altra sosteneva economicamente la cosca criminale. Il rapporto era diventato profondo al punto che Guglielmino, conoscitore delle gerarchie interne al sodalizio e dei meccanismi di funzionamento del gruppo mafioso, si rivolgeva al capo (oggi al 41 bis), criticandolo per la sua inclinazione a circondarsi di affiliazioni di scarso valore e rimpiangendo i precedenti vertici.