Vincenzo e Giuseppe Guglielmino, padre e figlio, rapporti tesissimi e un grande interesse in comune: quello per la raccolta della spazzatura in Sicilia. Sono i due nomi ai vertici di un colosso imprenditoriale costruito su basi di munnizza e, secondo gli investigatori, indissolubilmente legato alla cosca dei Salvo
Mafia e rifiuti, l’impero spezzato dei Guglielmino I legami con i Cappello e le liti tra padre e figlio
«Mio padre quello che ha è mio. Tannu tutte queste società le ho fatte io». Giuseppe Guglielmino non riesce a trattenersi. Nel 2013, intercettato in macchina con Giovanni Bruno (pregiudicato, ritenuto appartenente al clan Cappello), comincia una nervosa arringa contro suo padre, Vincenzo. Quando le cimici li ascoltano, Guglielmino senior e junior non si parlano da sei anni. Motivi personali, che si riflettono sugli affari. Quelli nel mondo della spazzatura, su cui entrambi hanno costruito un impero oggi quasi interamente finito sotto sequestro: l’inchiesta Gorgoni della procura di Catania ha fatto scattare i sigilli alla Ef servizi ecologici con sede a Misterbianco, che a luglio di quest’anno – come svelato da MeridioNews – era stata colpita da un’interdittiva antimafia. Responsabile dell’azienda misterbianchese è Vincenzo Guglielmino, 63 anni, finito in manette questa mattina con le accuse di associazione a delinquere di stampo mafioso, corruzione e turbata libertà di scelta del contraente. Dopo che, a giugno 2017, era già stato messo ai domiciliari per presunte intimidazioni tra Noto e Avola.
Il giro di denaro delle aziende riconducibili alla famiglia Guglielmino è milionario. Quando le due generazioni vengono a confronto, però, le cose si rompono. E nessuno dei due accetta di fare un passo indietro. Così la Geo ambiente, ammiraglia del 43enne Giuseppe, si trova ad alternarsi con le imprese che, invece, fanno riferimento al padre. «Ti ci ho portato io dove sei – si sfoga Giuseppe – Non è che tu devi fare la guerra a me, togli i lavori a me […] Ci sono esposti, denunce, mi stavano anche per arrestare nel 2006 e ho dovuto chiudere la ditta». Tutta colpa del genitore, secondo lui, che gli avrebbe messo i bastoni tra le ruote. «Si meritava ammazzato – sospira il 43enne – Però, dice, sai, è tuo padre, lasci perdere. Ma tre volte l’ho fatto». E la pazienza ha un limite. Il confine è rappresentato dai rapporti personali: quelli del figlio che si confondono con quelli del padre.
È il caso dell’amicizia con Massimiliano Salvo, presunto boss del clan Cappello. Imperturbabile figlio del capomafia Pippo ‘u carruzzeri e fratello di Giampiero. Entrambi all’ergastolo. Giuseppe e Massimiliano parlano spesso. Si raccontano dei trucchi che usano per evitare i sigilli della magistratura, discutono di investimenti da fare nel settore immobiliare. Così che un domani, quando si esce di galera, i palazzi si ricomprano all’asta e all’improvviso – da niente – ci si ritrova coi soldi e le case. «Ora lui (il padre, ndr) si è avvicinato a Massimo – continua Giuseppe parlando con Giovanni Bruno, quattro anni fa – Io gliel’ho detto più di una volta…». A incrociare i dati del sequestro preventivo a Giuseppe Guglielmino emesso a settembre 2017 con quelli dell’operazione di oggi, a tornare non sono solo i dissidi tra genitore e rampollo, ma anche i luoghi e i nomi. Intanto Aci Catena. E, subito dopo, Lucio Pappalardo, presunto esponente di spicco del clan Laudani. «Questi qua si comportano bene con Lucio Pappalardo», dice Massimo Salvo, in auto con Giuseppe Guglielmino. Di chi stiano parlando, però, non è chiaro. «Io… I discorsi della Catena (Aci Catena, ndr)… Con me si sono comportati bene».
Perché, all’epoca, Massimo Salvo parlasse di Lucio Pappalardo non è ancora chiaro. Certo è che, secondo la procura di Catania, in tempi più recenti i due si sarebbero incontrati spesso per tentare di ricomporre una crisi dovuta alla gestione della nettezza urbana proprio ad Aci Catena. Sui lati opposti della barricata ci sarebbero stati l’ex sindaco (condannato per corruzione alcuni mesi fa) Ascenzio Maesano e Vincenzo Guglielmino. I due, non particolarmente amici per motivi economici, non avrebbero trovato l’accordo per l’appalto sull’igiene cittadina. A quel punto, Guglielmino avrebbe tentato la strada delle cosche. «Lucio è un ragazzo a posto, uno che sa discutere. Come Massimo – afferma Vincenzo Guglielmino, discutendo con Ele Scalia, arrestato anche lui e accusato di associazione mafiosa – Solo che quello (Massimo, ndr) non vuole fare il malandrino. Allora lui dice: “Loro fanno i malandrini, ma sono io che decido“». «Io mi spavento – conclude Guglielmino col suo interlocutore – Qualche minchiata… Massimo si deve andare a esporre con questa famiglia, si deve andare a imporre una guerra». Alla fine, però, dopo una battaglia che passa anche dalle aule dei tribunali amministrativi, l’appalto per la raccolta dei rifiuti nel feudo di Maesano se lo aggiudica la Senesi, ditta marchigiana colpita anch’essa, in passato, da interdittive antimafia e attualmente in servizio al Comune di Catania. Rappresentante legale dell’impresa è Rodolfo Briganti: in manette da oggi per corruzione.