Ecco perché Enzo Bianco è stato condannato e non si può candidare a sindaco di Catania

Enzo Bianco non si può ricandidare a sindaco di Catania. Così ha deciso la sentenza della sezione giurisdizionale d’appello della Corte dei Conti della Sicilia, arrivata a due mesi precisi dal voto per le tanto attese Amministrative nel capoluogo etneo. L’ex primo cittadino era già sceso in campo, sancendo anche quello che da MeridioNews è stato ribattezzato come il patto della pedana con Giancarlo Cancelleri. E, invece è arrivato lo stop dovuto alla sentenza sul dissesto del Comune. «Gli amministratori hanno gestito il Comune di Catania con grave e ingiustificabile trascuratezza – si legge nel testo della sentenza – reiterata negli anni, attuando scelte che, lungi dall’essere finalizzate a un recupero, sia pure parziale, della critica situazione finanziaria dell’ente locale, hanno condotto quest’ultimo fino al punto di non ritorno, costituito dalla formalizzazione dello stato di dissesto. Situazione aggravata e divenuta irrecuperabile, a causa dell’inerzia imputabile agli organi di controllo interno».

Un passo indietro

Tutto parte dalla delibera numero 14 del 2 febbraio del 2013 quando, prendendo atto delle condizioni di squilibrio strutturale del bilancio del Comune di Catania, il Consiglio approvava il Piano di riequilibrio finanziario pluriennale (Prfp). La sezione di controllo della Corte dei conti, nell’aprile del 2015, durante un controllo sulla verifica contabile del secondo semestre del 2014, accerta «il grave inadempimento degli impegni assunti e, quindi, il mancato raggiungimento degli obiettivi intermedi del piano». Da qui, si arriva alla dichiarazione del dissesto del Comune di Catania. A quel punto, la procura regionale chiede l’accertamento delle responsabilità del sindaco, degli assessori e dei componenti del collegio dei revisori nell’avere contribuito al dissesto. Responsabilità gravi che vengono accertate e condannate, nel 2020, per avere contribuito a creare quella situazione di dissesto per l’allora sindaco Enzo Bianco, per gli ex assessori Luigi Bosco, Rosario D’Agata, Giuseppe Girlando, Orazio Antonio Licandro, Salvatore Di Salvo, Marco Consoli Magnano di San Lio, Angelo Villari e Valentina Scialfa e per i componenti del collegio dei revisori Natale Strano, Calogero Cittadino, Fabio Sciuto, Francesco Battaglia e Massimiliano Carmelo Lo Certo.

I ricorsi inammissibili

Condanne a cui seguono quattordici distinti ricorsi sia degli ex amministratori che degli ex revisori dell’ente che affermano «la nullità, l’illegittimità e l’erroneità» della decisione del giudice monocratico, chiedendo la sospensione del procedimento sanzionatorio in attesa della conclusione del processo penale. In pratica, tutti sostengono che la situazione di squilibrio sarebbe stata ereditata dall’amministrazione precedente e che, subentrati loro, non ne sarebbero nemmeno stati a conoscenza. Anzi, che avrebbero avviato numerose azioni per tentare di condurre al risanamento dell’ente. «Non si ravvisa alcun elemento che possa indurre a riformare la decisione del giudice sulla colpa grave degli ex amministratori ed ex revisori». Questa è la decisione del giudice che aggiunge che ci sarebbe stato un «consolidamento di prassi contabili e gestionali irregolari». Il ricordo viene dunque dichiarato inammissibile perché «le plurime criticità che hanno contribuito al dissesto sono state ampiamente dimostrate». Nella sentenza viene precisato, inoltre, che non è necessario che vi sia «la sussistenza di un nesso causale diretto tra la condotta degli agenti e il dissesto ma anche solo in termini di aggravamento».

Il dissesto in numeri

Un aggravamento che, in effetti, sarebbe stato registrato. «Risulta acclarato – si legge nelle sentenza – si manifestava il progressivo deterioramento degli indici di patologia finanziaria indiscutibilmente culminato nell’aggravamento del deficit della cassa». In pratica c’è stata una crescita dei debiti che nel quinquennio sono quasi raddoppiati: da 119.808.775,21 nel 2013 a 228.661.985,87 nel 2017. Un aumento del 90,85 per cento. Il giudice ricostruisce che «le anticipazioni di cassa, produttive di nuovi oneri per interessi passivi, non sono state utilizzate per colmare le asincronie fisiologiche tra i flussi della liquidità in entrata e in uscita, bensì quale mezzo alternativo di copertura della spesa, in aperta violazione del divieto di indebitamento per spese diverse da quelle di investimento». A questo si sarebbe aggiunta anche un’attività di riscossione non adeguata alle crescenti necessità per i debiti scaduti. Questo avrebbe portato alla «cronica indisponibilità di sufficienti risorse liquide e all’esistenza di una cospicua mole di debiti fuori bilancio»: 43,2 milioni di euro il 31 dicembre 2014 che diventano 79,9 milioni di euro un anno dopo e 80,75 milioni di euro l’ultimo giorno dell’anno 2016. Nello schema di rendiconto dell’esercizio finanziario di quest’ultimo anno non c’è traccia di fondi per i debiti fuori bilancio. Una situazione che sarebbe stata concausata dai pareri favorevoli dell’organo di revisione. «Omissioni e ritardi del collegio dei revisori non possono trovare giustificazione – si legge nella sentenza – Una situazione economica seriamente compromessa, trascinata per un quinquennio, avrebbe richiesto prese di posizione più decise, se non proprio di rottura». Non solo non sarebbe stato fatto questo, ma per i giudici ci sarebbe stato un «atteggiamento passivo» che avrebbe contribuito al verificarsi del dissesto.

Le condanne

Enzo Bianco: 38.942,56 euro;
Giuseppe Girlando: 35.437,76 euro;
Marco Consoli Magnano San Lio: 25.556,05 euro;
Luigi Bosco, Rosario D’Agata, Salvo Di Salvo, Angelo Villari e Valentina Scialfa: 22.148,60 euro;
Natale Strano e Fabio Sciuto: 12.846,60 euro;
Orazio Licandro: 11.074,30 euro;
Calogero Cittadino, Francesco Battaglia e Massimiliano Carmelo Lo Certo: 8.564,40 euro.
Agli amministratori è stata inflitta inoltre una sanzione interdittiva che consiste nel divieto di ricoprire incarichi per dieci anni. Cinque per i revisori. «La misura interdittiva tutela ed esalta il principio di buon andamento della pubblica amministrazione, inibendo l’accesso a una carica pubblica per un arco di tempo ragionevole», si legge nella sentenza. L’allora primo cittadino Enzo Bianco, per lo stesso periodo di tempo, non si potrà candidare alle cariche pubbliche elettive: sindaco, presidente di provincia e di giunta regionale, componente di Consigli comunali e provinciali, di assemblee e consigli regionali e del parlamento anche europeo e nemmeno essere nominato assessore comunale, provinciale e regionale né ricoprire alcuna carica in enti vigilati o partecipati da enti pubblici.

La risposta di Enzo Bianco

«Sono un uomo delle istituzioni e rispetterò sempre la magistratura. Anche quando una piccolissima parte di essa compie una scelta clamorosamente sbagliata che priverà i catanesi di potersi esprimere sulla mia persona». Enzo Bianco ad arrendersi di fronte alla sentenza di condanna proprio non ci sta. «A prescindere da quanto tempo ci vorrà – dichiara – lavorerò con tutte le forze e in ogni grado di giudizio, per cancellare questo obbrobrio giuridico». Nel ricordare di essere già stato il più giovane sindaco della storia della città di Catania, Bianco afferma inoltre che «non ci sarà nessun atto che potrà scalfire, non solo la mia correttezza morale, ma anche un’entusiasmante stagione amministrativa». Con un pensiero al passato, «oggi più che mai – conclude l’ex primo cittadino ed ex candidato allo stesso ruolo – ne vado fiero e ne parlo a testa alta».


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