Intervistato da Meridionews, il semiologo Francesco Mangiapane riflette sulle scelte dei candidati sotto il profilo della comunicazione politica, mostrando le diverse strategie adottate dai nove sfidanti, in vista del voto dell'11 giugno. Una campagna elettorale «più serena ma meno interessante rispetto a quella passata»
Comunali 2017, dal fiero Orlando all’eroe Ferrandelli «Zero scontri epici, manifesti e slogan un po’ noiosi»
«È sicuramente una campagna elettorale più serena rispetto alla precedente, senza scontri epici e, da questo punto di vista, potrebbe risultare un po’ noiosa». A poco più di un mese dal voto per l’elezione del nuovo sindaco di Palermo, già da diverse settimane le vie della città sono affollate da manifesti e slogan. Con l’aiuto di un esperto, il semiologo Francesco Mangiapane, abbiamo cercato di mettere in luce le differenze di linguaggio e stile dei nove candidati, tra hashtag virali e claim. Dottore di ricerca in Disegno industriale, arti figurative e applicate, Mangiapane si occupa di sociosemiotica della cultura e ha approfondito proprio le questioni legate all’identità visiva e al brand, a Internet e ai social media, al cibo e all’identità culturale. A lui abbiamo chiesto una riflessione su questa campagna elettorale che sembra non entusiasmarlo troppo, soprattutto rispetto a quella di cinque anni fa.
«È meno interessante perché presenta per un semiologo schemi abbastanza tipici, non come quella precedente». In realtà, alcuni elementi di novità ci sono e uno riguarda la scelta, da parte dell’attuale sindaco Leoluca Orlando, di un politico «che si presenta ai cittadini fiero delle cose che sono state fatte». L’idea per Mangiapane è che il primo cittadino stia puntando all’immagine di una sorta di «città viva di grandi eventi che dovrebbe parlare per sé rispetto alla sua candidatura. Un elemento di novità in un contesto in cui spesso i politici si sono presentati quasi vergognandosi degli atti politici precedentemente compiuti».
La posizione di Orlando è interessante anche nella misura in cui «ha fatto pochissima comunicazione, mi riferisco ai manifesti, in giro se ne vedono pochi. La sua è una retorica dell’anticomunicazione: dopo il lancio dello slogan iniziale – Facciamo squadra – c’è l’idea che a parlare siano i fatti e la città e che il cambiamento non debba essere raccontato attraverso la comunicazione, ma la vita di Palermo. E quindi non ha ritenuto necessario puntare più di tanto su questo aspetto. In questo modo, si mette anche in un gradino più in alto rispetto agli altri candidati dicendo io di fare manifesti non ne ho bisogno». Lo studioso, poi, traccia un confronto con la strategia di comunicazione utilizzata cinque anni fa. «Penso che questo slogan sia frutto di una scelta tattica: durante la prima sindacatura spesso è stato accusato di leaderismo e ora vuole collocarsi in una posizione di maggiore apertura. Una promessa di fare un passo indietro rispetto alla società civile».
Qualche ostacolo in più per il leader dei coraggiosi, Fabrizio Ferrandelli che «forse ha avuto qualche difficoltà di riconoscibilità e posizionamento». Lanciata inizialmente con la campagna Ora ci provo io, anche a causa di «piccoli problemi con i partiti ha poi ritenuto opportuno lanciare lo slogan Solo per Palermo, presentandosi senza simboli. Dall’altra parte ha sposato una logica tipica della comunicazione politica degli ultimi anni del leadearismo, e lo si vede dai manifesti dove sembra illuminato dall’alto da una luce, quasi ricevendo e costruendo una sorta di incarico dell’eroe, presentandosi come colui che deve risolvere la situazione che punta tutto sulla sua volontà e disponibilità a compiere questa missione. Che peraltro si percepisce anche da una posa del corpo: è come se lui volesse provare a uscire addirittura dal manifesto assumendo una posizione in prospettiva».
A uscire completamente dagli schemi è il candidato del M5s Ugo Forello che cambia «totalmente posizionamento rispetto agli altri». Farsi fotografare con una bicicletta rimanda a una sorta di dialettica fra i vari politici che si posizionano in funzione del mezzo di trasporto, un modo per comunicare un valore identitario. «L’antesignano di tutto questo è stato Prodi con il suo pullman, Berlusconi con una nave di grandi dimensioni e Bersani che faceva il benzinaio». È una comunicazione indipendente da quella degli altri candidati perché gli altri non ne hanno fatto cenno. «Nel manifesto dichiara che vuole cambiare tutto e questo cambiamento si costituisce anche attraverso il rilancio di una questione che gli altri non toccano ed è coerente con la sua identità politica».
A distinguersi dalla massa dei manifesti è Nadia Spallitta, l’unica candidata donna di questa competizione, avvocato cassazionista, componente della commissione Bilancio e vicepresidente vicaria del Consiglio, che ha scelto di mostrarsi con primi piani in bianco e nero e, in alcuni casi, con un primissimo piano dove spiccano gli occhi azzurri. «Ancora una volta si cavalca un’altra retorica della comunicazione politica: l’autenticità. C’è l’idea di costruire un rapporto autentico con il lettore-elettore, un qualcosa che funziona spesso a pelle, in un’ottica di comunicazione del corpo. In genere questo si ottiene con i primi piani sul viso». Nel caso della Spallitta, l’idea è di andare oltre stringendo ancora di più il campo e mostrando un dettaglio ancora più grande «ovvero l’occhio che, nella retorica politica, è il luogo dell’autenticità – gli occhi non mentono – e quasi a voler dire fidatevi del mio sguardo».
Ismaele La Vardera – inviato della trasmissione tv Le Iene che ha lanciato la sua campagna su Facebook – per Mangiapane è probabilmente il candidato «meno riconoscibile» ed è per questo che ha puntato su una meta-comunicazione. «Il suo modo di proporsi nei confronti dell’elettorato è un manifesto che parla di altri manifesti, con un gioco comunicativo che rimanda ai media. È interessante perché a farlo è proprio un uomo dei media. Gioca sui generi della comunicazione di massa e crea un cortocircuito che dovrebbe far emergere la sua immagine». Il suo slogan, forse non a caso, è Contro i golia per una città libera. «È una sorta di presentazione in vista di un’evoluzione che probabilmente non sarà quella di fare il sindaco della prossima candidatura, ma di una leadership di cui si inaugura la corsa».
Tra gli outsider figura sicuramente il musicista Tony Troja che punta su una campagna low cost. Il suo slogan è La volontà politica che adesso c’è. «Negli anni ’50 Roland Barthes scriveva che lo sguardo che il politico mette nel manifesto elettorale è di per sé significato. Quello che mi ha colpito di Troja è proprio questo sguardo che sembra indignato, di sfida nei confronti di colui che guarda. In un certo senso cerca di fare immedesimare coloro che sono arrabbiati o comunque hanno un atteggiamento di forte critica, cercando di farsi riconoscere dai propri elettori in funzione di questo atteggiamento emotivo. Lo sfondo, in questo caso, è sia un simbolo identitario di palermitanità, ma è anche il luogo del potere politico della città».
Molto più rassicurante appare invece, su diversi cartelloni sparsi per la città, il volto dell’architetto-indipendentista Ciro Lomonte: «Qui abbiamo un’altra forma di autorità data del sapere. Questa persona tenta di mostrarsi come soggetto competente. Lo slogan – Palermo sia fiera di Palermo – è interessante perché in quanto soggetto competente tende a dire dobbiamo essere orgogliosi della città con una sorta di collegamento con i monumenti o la dimensione estetica della città stessa. Tende a incarnare la figura da intellettuale – barba e occhiali – e ad assumere un ruolo dando un giudizio di valore da tecnico sulla bellezza di Palermo che intende proteggere e valorizzare».
Molto «classica» a detta dello studioso la scelta d’immagine dell’avvocato Francesco Messina: «Siamo di fronte alla fotografia del politico tradizionale che si mostra davanti a un sipario nell’atto di parlare. Immagine che può essere rassicurante per alcuni, incarnando una sorta di leadership fondata sul ruolo del professionista della politica».
Infine, il candidato operaio Gaetano Tanino Cammarata, che corre con la lista 1 di noi e che sposa l’idea «del qualunquismo. Rappresenta una sorta di normalità perché lui è uno di noi».