Costume e società

Commento croccante sui fondi di Fratelli d’Italia alla Cultura: dal corto Lautruieri vs Lavarderia ai capelli di Gugliemo Ferro

Sul nuovo social network X, tale Esmeralda (@_smaragdos), commenta un articolo del Domani a proposito dei finanziamenti alla Cultura elargiti dai Fratelli d’Italia siciliani: «Amici, soldi (pubblici) e politica. In Sicilia tutto fa brodo. Su questo penso non leggerò un commento croccante di Ottavio Cappellani. Perché gli amici so’ amici, gli ex amici so’ nemici». Bene. Da dove comincio? La situazione mi sembra bella croccante e non mi va di deludere questa mia diffidente lettrice! Iniziamo da Ismaele La Vardera? Massì. Allora, io ogni volta che vedo Ismaele La Vardera in tv (ma anche solo la foto) penso, specifico penso: «Mariamariamaria come glielo farei il nocchino stricante veloce veloce sul ciricozzola della mennula (per i non siciliani: la sommità della testa, sfregare le nocche velocissime sulla sommità della testa)». È un pensiero impuro. Sì, lo è. Non mi è capitato di confessarmi ultimamente, ma quando capiterà nuovamente lo elencherò al prete. È un pensiero che tradurrei in azioni? No.

Secondo me, ma dico secondo me, Carlo Auteri quando ha detto a La Vardera, cito a memoria, non mi va di cercare la citazione giusta: «Ti butto dalla finestra. Ti affogo là» (erano in bagno, quindi il dovrebbe essere, suppongo, un water closet), stava soltanto pensando a voce alta. Attenzione: non sto dicendo che ha fatto bene. Sto dicendo che non me lo vedo Carlo Auteri che affoga nel cesso Ismaele La Vardera. È una immagine che mi piacerebbe vedere? Minchia sì! Da impazzire. Ma al cinema o, visto che parliamo di Carlo Auteri, facciamo al teatro. Come immagine mi fa ridere moltissimo. Prendo un impresario teatrale che si è attuffato in della politica, ci azzicco sul naso le occhiale grosse di design, ci faccio mentere il vestito gessato a uso Al Capone (il boss, no u pisci), ma sdrammatizzato con la T-shirt sotto. Lo chiamiamo Carlo Lautruieri. Poi lo faccio andare in del bagno. Dove trova uno rosso di pilo malpelo (citazione colta da Giovanni Verga), che è un politico come l’impresario. A questo di pilo rosso me lo vedo con l’abito a uso Piazza Italia, con le maniche un po’ lunghette e i pantaloni senza risvolto anche quelli un po’ lunghetti. Questo lo chiamiamo Ismaele Lavarderia (nel senso di lavanderia, non nel senso di vardia, ci mancherebbisi autru).

Lautruieri si avvicina all’orinatoio, sguaina tipo un metro e mezzo di minchia, sospira e inizia a fare pipì, dlin dlin. Nell’orinatoio accanto c’è Lavarderia, incazzato, incazzosissimo, che è mezzora che se la sta cercando, tipo che stringe gli occhi a fessura cercando di mettere a fuoco e scamina con la mano infilata tutta dentro la cerniera. Lavarderia si volta e vede l’Autruieri. Ci guarda la minchia e si incazza ancora di più. Così inizia a fare: «Fai poco lo sperto, tu, che lo so che ci dai i soddi a tua mamma, i soddi NOSTRIIIIIIII – indicazione di regia, Lavarderia urla mentre infila il braccio fino al gomito nella cerniera e scaminando a più non posso, poi continua – AAAHHHHH i soddi per il TIATROOOO A TUA MAMMAAAAAAA». Lautruieri, con la minchia ancora di fuori, prima si volta e lo spisciazza tutto, poi lo prende per il colletto e lo solleva che le maniche lunghe della giacca ci arrivano a metà avambraccio, poi, con Lavarderia tenuto a mezzaria cerca un bagno libero. Uno è occupato e Lautruieri, educamente bussa: «Mi scusi, è occupato?». Niente. Nessuna risposta. Lautruieri fa mah con la faccia. Poi trova un bagno libero e affoga Lavarderia nel cesso. Quindi si riarrotola la minchia, si chiude la cerniera, e mentre va a lavarsi le mani noi vediamo le gambe di Lavarderia sbucare dal cesso. Infine, Lautruieri ci pensa, torna nel bagno, tira lo sciacquone e se ne va. Vediamo le gambe all’insù di Lavarderia che girano vorticosamente.

Ecco, questo, secondo me, sarebbe un bel corto teatrale comico e satirico. Io Carlo Auteri non lo conosco, l’ho visto una volta a Rosolini che accompagnava credo Litterio e Salvo La Rosa. Ma so che è una vita che fa l’impresario teatrale e non è che diventato politico e poi si è assegnato i soldi alla famiglia. Adesso, io non so come sono combinati gli assetti societari di Auteri, non so se uno che fa l’impresario poi deve smettere se diventa politico, a quello ci pensano, fortunatamente, i giudici e i giornalisti (o gli scrittori, come nel mio caso) che vogliono fare i giudici non mi sono mai piaciuti. Sono per la separazione delle carriere opinione-di-scrittore/giudici-e-organi-inquirenti. Se avesse dato, così come ho letto da qualche parte, soldi ricevuti come finanziamenti tiatrali da Fratelli d’Italia questa è una cosa che non mi piacerebbe, e allora probabilmente scriverei un corto teatrale dal titolo Lautruieri contro Lavarderia 2 – LA VENDETTA DEL BAGNO ASSASSINO. Cara Esmeralda: io sono sempre croccante.

E veniamo agli amici. Senza fare nomi: Guglielmo Ferro e Manlio Messina. Li perculo entrambi da una vita. Sulla mostra foTTografica a Cannes ne ho scritto, criticandolo. Sulla notizia (fake) che ha dato Fabrizio Corona su una sua liason con Giorgia Meloni ho scritto, sostenendo che di fake si trattava ma ho precisato che i bellicapelli di Manlio Messina sono comunque più bellicapelli dei bellicapelli di Giambruno. Non pubblico i messaggi di perculamento che gli mando perché sono praisì. Per quanto riguarda Guglielmo Ferro invece rompo la praisì per riassumere il tono dei messaggi che gli mando. «Cosa fitusa», «A s’aiu aspittari attia», «Ci isti in Turchia a fariti u trapianto del pelo?», «Ma quanto sì lariu».
Infine, è noto che Guglielmo Ferro e Carlo Auteri collaborano – o hanno collaborato, non lo so, Guglielmo non mi richiama mai, è una cosa tinta – e qui avrei da criticare entrambi. Avete rotto la minchia coi classici. Lo so che sono fuori diritti e andate sul sicuro perché nessuno ha da ridire su Pirandello e il mio amato Martoglio e tutti i siciliani che mi hanno scassato la minchia che non se ne può più. Voi due A ME DOVETE FARE LAVORARE, che piaccio molto a Esmeralda! E che minchia!

Per il resto, cara Esmeralda, non sono pochi gli amici che ho perso per il mio amore delle battute. E non sono pochi gli amici che ho perso perché alla fine si sono dimostrati delle grandissime teste di minchia. E poi a me piace cambiare amici e nemici. Sono coerente solo con me stesso. Ah, la sfregata di nocche alla capoccia la fare molto volentieri anche a Guglielmo Ferro. A Manlio Messina no, che con quel coniglio d’angora che si ritrova in testa non sente niente.
Cari saluti. Mi segua.
P.S. Le sono sembrato croccante? O voleva tipo che mi indignavo come si indigna La Vardera? Perché io non mi sono mai indignato in vita mia né jabbu né maravigghia, e poi quelli che si indignano mi fanno ridere. A proposito: la sinistra amichettista (termine coniato dal mio caro amico Fulvio Abbate) non ne ha fatto mai favori nell’ambito dello spettacolo? Vogliamo parlare dello storico delle direzioni del Teatro Stabile? Un caro saluto.

Ottavio Cappellani

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