Una forma di penetrazione graduale, fatta con gli uomini giusti al posto giusto, senza inizialmente alcuna richiesta di denaro, ma finendo per condizionare ogni scelta dell’impresa. Il sistema di infiltrazione di Cosa Nostra nel tessuto imprenditoriale è fatto di tappe precise, come dimostra il caso della Siar srl, di Gioiosa Marea, finita nell’indagine antimafia della Dda di Palermo che due giorni fa ha portato all’arresto a Castellammare del Golfo, nel Trapanese, di sei persone (altrettante sono indagate), tra cui Vincenzo Artale, imprenditore antiracket che anni fa denunciò il tentativo di estorsione e che, secondo gli inquirenti, era diventato lui stesso parte di quel sistema criminale.
Principale protagonista della tentata estorsione alla Siar è Vito Turriciano, descritto come il fedelissimo di quello che è considerato il capomafia di Catellammare Mario Saracino. La Siar è stata impegnata tra il 2013 e il 2014 in lavori sul viadotto Cavaseno ad Alcamo, sull’autostrada Palermo-Mazara del Vallo, con un appalto assegnato da Anas. «Mi manda Alcamo – si presenta Turriciano – deve dire alla sua azienda che deve imparare a bussare quando arriva in un posto, sapete benissimo come ci si comporta in questi casi». La frase, rivolta al geometra Domenico Prestipino, arriva poco dopo l’inizio di alcuni licenziamenti all’interno di Siar. Che Prestipino giustifica ai carabinieri con problemi burocratici con l’ente appaltante e con il rischio che l’impresa possa smettere i lavori. «Preciso – spiega il geometra, riferendosi ad alcuni operai assunti al cantiere, risultati poi vicini alla locale famiglia mafiosa guidata da Saracino – che questi che inizialmente godevano della mia fiducia professionale, nel tempo, con alcuni loro comportamenti hanno fatto sì che io iniziassi a dubitare nei loro confronti». Eppure lo stesso geometra, sottolinea il giudice nell’ordinanza, era stato tutt’altro che respingente nei confronti di questi soggetti. Tanto da essere ora accusato di favoreggiamento aggravato.
La famiglia mafiosa di Castellammare inizia ben prima e in maniera strisciante a infiltrarsi nella ditta. Già nell’estate del 2013 diversi amici di Saracino lavorano al cantiere: Martino Badalucco viene assunto come conduttore di macchinari per il movimento terra; il padre Vito Badalucco come manovratore di mezzi meccanici; Vito Bongiorno – «notoriamente vicino a Saracino», precisano i carabinieri – in qualità di muratore; Pietro Badalucco riesce a trovare occupazione mediante la fornitura del carburante per i mezzi. «Ma anche altre persone vicine ai Badalucco» attingono alla mammella della ditta calabrese: chi come muratore, chi per il noleggio dei camion e degli escavatori, un altro per i trasporti, un altro ancora per l’approvvigionamento degli inerti.
Un tarlo dentro l’azienda che finisce per condizionarne tutta l’attività. Fino a quando i Badalucco restano al loro posto, al geometra non sarebbero giunte richieste di somme di denaro. Ma il condizionamento passa da altri canali, da «un’attività di ingerenza e di condizionamento», una prevaricazione segnata da moltissimi episodi, anche dettagli come «agevolare il trasporto di inerti al cantiere attraverso strade secondarie per evitare i controlli della polizia sui mezzi, sui formulari di trasporto, sull’origine del materiale e sulle fatturazioni». Secondo gli inquirenti Vito Badalucco aveva «una precisa strategia speculativa» che mirava a costringere il geometra a cambiare ditta per la fornitura di calcestruzzo, meno conveniente e riconducibile a un pregiudicato amico della famiglia mafiosa di Castellammare.
«I due indagati – scrive il giudice riferendosi a Vito e Martino Badalucco – non si limitavano a svolgere un mero compito di operai, ma dimostravano di essersi attribuiti ruoli tipicamente dirigenziali dentro la ditta Siar, influenzando le scelte delle ditte a cui affidarsi per le forniture dei materiali necessari e condizionando in tal senso il responsabile del cantiere».
Riceviamo in data 5 aprile 2016 e pubblichiamo dal legale della società Siar, avvocato Alvario Riolo:
In merito all’indagine in corso si precisa che la SIAR risulta essere parte offesa e vittima di due reati, un furto aggravato ed una tentata estorsione aggravata. Si tratta di tentata estorsione proprio perché l’impresa non ha ceduto alla richiesta, ma ha provveduto all’immediata denuncia; anche l’ipotesi del furto ha origine da ben precisa denuncia dell’impresa.
In merito alla denuncia del Prestipino l’impresa ha intrapreso azione disciplinare nei confronti dello stesso, con volontà di procedere al licenziamento, come avvenuto per gli altri, in caso venga riscontrato che il dipendente abbia posto in essere condotte scorrette o abbia disatteso le direttive dell’impresa.
Non conoscendo gli atti, allo stato, possiamo solo ipotizzare trattarsi di qualche imprecisione nella deposizione in quanto lo stesso ha sempre immediatamente denunciato i vari furti subiti, nonché l’episodio estorsivo di cui riportate il testo in articolo. Episodio che gli inquirenti hanno conosciuto proprio attraverso la denuncia del Prestipino e sul quale lo stesso dovrebbe essere teste.
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