La 28enne siciliana vive a Londra ed è volontaria dell'associazione Day-Mer che offre orientamento alle comunità turche e curde londinesi. Ma non solo. Ha preso parte anche al progetto nel più grande campo spontaneo d'Europa, in Francia. A contatto con storie di sofferenza, tra cui quella dei giovani fratelli afghani Milot e Hamid. Guarda le foto
Claudia, una marsalese nella giungla di Calais La vita quotidiana dei migranti e dei volontari
Claudia Giacalone, 28 anni, è tornata a Londra proprio il giorno dello smantellamento della parte sud del campo di Calais, in Francia, tra i più grandi campi spontanei per migranti in Europa. Claudia è appena andata via, ma i racconti la raggiungono. «Alle sette del mattino la polizia francese ha iniziato a bussare in ogni tenda dicendo ai migranti di avere solo un’ora per lasciare la giungla – riporta – altrimenti la loro casa sarebbe stata distrutta e loro arrestati. Gli agenti hanno usato gas lacrimogeni e fatto ricorso alla forza su migranti e volontari. Sono stati visti poliziotti urinare sulle tende e non permettere agli attivisti di rientrare nel campo». Claudia è una ragazza marsalese trapiantata nella capitale londinese da cinque anni. È una volontaria dell’associazione Day-Mer che offre un servizio di orientamento su diritti umani, salute e scuola alle comunità turche e curde che vivono a Londra. Day-Mer organizza anche viaggi a Calais, località francese che si affaccia sul canale della Manica, per portare ai migranti cibo, indumenti e denaro raccolto tramite mostre fotografiche e artistiche. Il tutto tramite Care4Calais, fondata da un gruppo di volontari britannici con lo scopo di aiutare i migranti che vivono nella cosiddetta giungla.
Claudia parte per la Francia con un pullman di trenta volontari, per la maggior parte turchi. Dopo alcuni controlli alla frontiera da parte della polizia inglese e francese, il gruppo arriva al campo. La giungla è stata costruita dai migranti con l’aiuto dei volontari. Tra le condizioni fatiscenti delle strutture, sono sorti anche una scuola, un centro ricreativo e uno di aiuto legale. E ancora una moschea e una chiesa della comunità eritrea ortodossa, un centro di primo soccorso, delle mense e qualche negozio che vende sigarette, giornali, beni per la persona. Nei racconti dell’attivista, c’è chi si lava i denti in abbeveratoi per animali e chi gioca a calcio in mezzo al fango. Ci sono rifiuti ovunque nella giungla e si dorme fino a quaranta persone in una tenda. Il centro di primo soccorso cura in media novanta persone al giorno, molte con ferite gravi. Non c’è abbastanza cibo per tutti, e per cucinare e riscaldarsi i migranti devono bruciare delle pedane di legno. Così gli incendi sono all’ordine del giorno.
La maggior parte dei migranti che Claudia Giacalone ha incontrato sono siriani, curdi, sudanesi, eritrei, afghani, iraniani. Alcuni ben disposti a parlare delle loro esperienze personali, altri più riservati. I bambini sono vivaci e seguono i corsi quotidiani di lingua francese. I volontari vengono da ogni parte d’Europa, ma sono tutti lì per uno scopo. Mangiano assieme e poi tornano a lavorare. «Ci siamo divisi i compiti – racconta l’attivista marsalese – Il mio gruppo ha preparato dei sacchetti con indumenti ma anche con beni di prima necessità come dentifrici e spazzolini, che poi abbiamo distribuito ai migranti; altri volontari invece si sono occupati del cibo. Le ore per noi passano velocemente a Calais – continua Claudia – di giorno ci sono da tenere i corsi di inglese e francese, sia per gli adulti che per i bambini, si deve preparare pranzo e cena, bisogna pulire e togliere la spazzatura, organizzare attività ricreative. Ti fermi giusto qualche minuto per prendere un thé o un caffè solubile».
Ci sono tante storie che Claudia ha ascoltato nella sua permanenza a Calais, tutte drammatiche. Non sempre la volontaria è riuscita a incontrare di nuovo i loro protagonisti, perché la giungla è dispersiva e molti non riescono a sopravvivere. La storia che sceglie di raccontare è quella di Milot e Hamid, due fratelli afghani di dieci e ventiquattro anni, partiti insieme per l’Iran per evitare che militari e talebani arruolassero il più piccolo dei due. «Una volta arrivati, Hamid vende le sue cose per pagare i suoi debiti e il suo viaggio in Europa – racconta Claudia -. Attraversano la Turchia, dove rimangono quindici giorni. Ci mettono tre giorni ad attraversare una foresta, dove piove continuamente. Dopo riescono a imbarcarsi su un gommone con altre 53 persone per andare in Grecia. Il mare è agitato e le onde altissime. Il gommone subisce un danno durante il viaggio ma fortunatamente dopo qualche ora arrivano in Grecia». Il viaggio però non finisce lì. «Arrivano fino in Germania, dove tentano di separare Milot dal fratello Hamid – conclude l’attivista . Adesso sono qui a Calais da cinque mesi. Al fratello piccolo manca tanto la scuola e giocare a calcio con gli amici. Vorrebbe diventare calciatore e vivere in Gran Bretagna con i suoi familiari. Hamid invece mi ha detto che essere nella giungla non è vivere, ma che si è vivi».