È in corso nella località balneare siracusana la rassegna internazionale. Che porta lo spettatore da Acireale all'Islanda, dalla Sierra Leone a Belgrado. «In questo periodo siamo radical chic», ha ironizzato Pif nella serata inaugurale
Cinema, le frontiere raccontate al festival di Marzamemi Storie di viaggi, prigioni e muri anche nelle vite famigliari
È un susseguirsi di racconti di partenze e ritorni, con una costante tensione tra il qui e l’altrove, la 18ª edizione del Festival del Cinema di Frontiera di Marzamemi. In un periodo dell’anno insolito, nel magico scenario del borgo marittimo, l’edizione che domani si concluderà è dedicata alla memoria dell’ideatore e critico Sebastiano Gesù, definito più volte «un punto di riferimento per tutto il cinema siciliano».
Le barriere geografiche, culturali e giuridiche che si interpongono tra popoli stranieri, ma anche nel cuore del territorio siciliano stesso, fanno emergere bellezze e contraddizioni profonde. I corti neorealisti di Vittorio de Seta, realizzati negli anni ’50 e rappresentativi di una Sicilia verghiana, riproducono questa tensione tra noi e l’altro, mostrando che la riconciliazione è possibile e che le sfide affrontate dai pescatori siciliani sono simili a quelle provate dai migranti di oggi. Ogni prima serata è introdotta da questi spezzoni di vita, proprio a segnalarne l’importanza e la pertinenza nello scenario marinaro di Marzamemi.
Ugualmente indicativo di tale tensione è stato l’intervento di apertura del regista palermitano Pif. Pierfrancesco Diliberto con un’ironia amara e provocatoria ha evidenziato la discrepanza tra un festival «radical chic» che abbraccia temi come la diversità e l’integrazione e una realtà politica italiana, alla quale ha alluso ripetutamente, che marcia in direzione vistosamente opposta. «Stai attento direttore – ha scherzato, rivolgendosi a Nello Correale -, se continui così, la diciannovesima edizione non te la lasciano fare».
Tra i lungometraggi in concorso spicca Balòn, firmato da Pasquale Scimeca, che racconta la fuga di due giovani sierraleonesi attraverso la prigionia, lo schiavismo e infine il pericoloso viaggio in mare «che è come il deserto, solo di un altro colore». Balón si inserisce tra il palestinese Wajib – Invito al matrimonio e Florida Project, finestre sulla ritualità, le tradizioni e le false apparenze di paesi altri, mentre Due piccoli italiani, racconto del viaggio in Islanda di due pugliesi, instaura ancora il parallelo tra chi è costretto a cercare una seconda possibilità e chi sceglie di partire per migliorare le proprie condizioni. Una spinta vitale che emerge ancora nel cortometraggio fuori concorso Made in Sicily di Daniele Greco, su un’azienda di giovani rientrati dal Nord Italia per fondare la loro impresa ad Acireale: «Una testimonianza diversa, a dimostrazione del fatto che per lavorare a certi livelli non è sempre necessario fare le valigie», afferma l’autore.
Alcune giovanissime registe di cortometraggi sono state ugualmente coinvolte dalla tensione tra il partire e il restare, come Chiara Ercolani, Alessandra Mancini, Giulia Monaco e Valentina Nardo, ideatrici del corto (Non) persone, ambientato a Belgrado, luogo di immobilità per migliaia di migranti che lasciano la penisola Balcanica nella speranza di raggiungere l’Unione europea e vengono qui trattenuti e spesso rispediti a casa. «Persone, proprio come noi, con le stesse necessità e preoccupazioni, costrette a lasciare casa, famiglie e abitudini. Se si riesce ad immedesimarsi e a capire questo, ecco che da lì può nascere la solidarietà», dichiarano.
Tra le frontiere catturate dal festival ci sono anche quelle che si ergono all’interno delle vite famigliari e che creano muri di silenzio tra coppie, genitori e figli, come nei potenti cortometraggi Il regalo di Alice (Gabriele Marino) e Pater Familias (Giacomo Boeri).
A contorno delle proiezioni, una varietà di mostre ed incontri negli scenari incantevoli della tonnara e del Cortile di Villadorata. Unica nota fuori tono, alcuni disservizi hanno sollevato le lamentele delle persone accorse numerose. Nella Piazza Regina Margherita, le sedie non bastano mai ad accogliere tutti gli spettatori che devono recarsi nel luogo almeno un’ora prima dell’inizio del film per assicurarsi un posto. Inoltre, qualche goccia di pioggia è bastata, nella serata di giovedì, ad interrompere la proiezione dei corti nel Cortile di Villadorata, a causa della mancanza di protezioni adeguate per le apparecchiature. Disagi che, tuttavia, non sono riusciti a rovinare l’atmosfera avvolgente e carica di significati del Festival.