Ciccina Lo Giudice: “Piango ancora mio fratello, ucciso con il prof. Canepa e gli altri”

Sono passati pochi giorni dalla commemorazione della strage di Murazzu ruttu, a Randazzo. Dove il 17 giugno del 1945 vennero uccisi, Antonio Canepa, docente universitario e comandante dell’EVIS (Esecito Volontario per l’Indipendenza della Sicilia),  insieme con Carmelo Rosano (22 anni), Giuseppe Amato detto Pippo (21 anni), Antonio Velis (21), Peppino Lo Giudice ( studente liceale diappena 18 anni). Incredibilmente i Reali Carabinieri, li avevano scambiati per banditi. Un professore universitario e tre ragazzi. Della figura di Canepa, della sua morte e delle particolari condizioni storico-politiche  della Sicilia del dopoguerra, vi abbiamo raccontato in numeorisi articoli, come questo: Canepa una strage premeditata. (E in altri correlati sotto).

Oggi  pubblichiamo, invece,  la straordinaria testimonianza di quei giorni della sorella di Peppino Lo Giudice, il più giovane tra le vittime di quel giorno del lontano 1945:  Ciccina Lo Giudice, che ha parlato con  la nostra collaboratrice, Daniela Giuffrida, attivista del Mis, il Movimento per l’Indipendenza della Sicilia, del suo dolore mai sopito per la morte violenta e prematura del fratello. Si sono incontrate al cimitero di Randazzo, il 17 giugno scorso.

In un angolo assolato del cimitero di Catania, in quel “viale degli uomini illustri” dove riposano in pace anche Giovanni Verga ed Angelo Musco, quattro “giovani banditi” morti per la loro terra, riposano, sotto il sole cocente, all’ombra di una colonna spezzata a metà come le loro vite, mentre, la loro bandiera “da combattimento”, sventola adagio sopra i nostri fiori gialli e rossi. Sono in quattro e riposano li, uno accanto all’altro, per l’eternità, come vicini avevano lottato per un unico scopo… per quella “Indipendenza” della Sicilia che aveva regalato loro la stessa sorte, la stessa morte.
Antonio Canepa, docente universitario di 37 anni, comandante dell’EVIS , Carmelo Rosano, il suo braccio destro, 22 anni, laureando in scienze economiche, 22 anni compiuti proprio quel 17 giugno) Giuseppe Lo Giudice (18 anni studente liceale) e Francesco Ilardi ucciso 5 giorni dopo i suoi compagni, durante un pattugliamento nei dintorni di Cesarò…
Stanno li in quell’angolo dimenticato di cimitero, lontano dai fasti e “nefasti” delle manifestazioni ufficiali, lontani dalle cineprese e dai microfoni, dalle scene e dalle “sceneggiate” di chi, a torto o a ragsi ritiene unico depositario dei valori e del destino della nostra terra… Un cimitero e poi una stele, posta a Murazzu ruttu a perenne memoria. Campagne verdi a Murazzu ruttu e fiori, tanti fiori e ancora bandiere e tanta commozione alle parole di una vecchina piccola e bianca di 92 anni che, dopo 67 anni, non si rassegna ancora al “furto” crudele della giovane vita del suo Peppino…
Piange Ciccina Lo Giudice e fra le lacrime mi racconta di come quel giorno i carabinieri fossero andati a casa loro, a San Michele di Ganzaria, a cercare notizie del giovane Peppino. Peppino lo Giudice studiava a Caltagirone, mi racconta Ciccina, era bravo….si voleva diplomare. La sua vita fu fermata, invece, quel 17 giugno, nelle campagne di Randazzo, morto per le ferite riportate durante l’agguato misterioso di quella mattina, agguato voluto forse da servizi segreti, forse…non si sa da chi… la Storia è vaga, ma la storia dei “vinti” non è mai “vera storia”, lo sappiamo bene e resta coperta da un velo di mistero e nel frattempo la polvere del tempo si aggiunge rendendo quel velo ancor più imperscrutabile, impenetrabile, sebbene….
Ciccina piange e guardando la foto del fratello, mi mostra il maglioncino che indossa sotto una giacca. Quel maglione glielo aveva fatto lei all’uncinetto o forse ai ferri da maglia, non se ne ricorda più, ma ricorda il dolore e lo sconforto di quella mattina, quando i “reali carabinieri” dopo aver chiesto loro “dove fosse Giuseppe” accompagnarono lei e sua madre sul luogo in cui i tre ragazzi erano stati “assassinati”.
Feriti dagli stessi carabinieri, in un agguato, erano stati caricati e trasportati, per disposizione degli stessi carabinieri, all’ospedale di Giarre, anzicchè a quello vicinissimo di Randazzo, dove forse qualcuno di loro si sarebbe potuto salvare…ma evidentemente non dovevano salvarsi. Furono lasciati morire dissanguati. Erano in sei quella mattina, due riuscirono a fuggire, mentre gli altri 4, dentro casse di legno “ca parevanu chiddi da frutta, si puttanu o cimiteru”.
Al cimitero il guardiano (Isidoro Privitera, separatista anche lui) chiese i nomi di quei “morti” ma i reali carabinieri risposero che erano solo quattro “banditi morti in conflitto” ! Un docente universitario e tre studenti, erano “volgari banditi” da poter essere giustiziati come agnelli al macello…. squarciati da un colpo da fuoco e lasciati dissanguare… Il guardiano del cimitero, sapendo per esperienza che prima di essere inumati sarebbe passato del tempo, aprì quelle casse, nel tentativo di farle arieggiare…. Triste spettacolo si offrì ai suoi occhi, corpi di ragazzini crivellati di colpi mentre quello più “anziano” del gruppo, aveva soltanto uno squarcio nella gamba che oppurtunamente bendato gli avrebbe impedito di morire dissanguato… I medici dell’ospedale di Giarre avevano infilato in tutta fretta quei corpi dentro le casse, ma nella quarta cassa, uno di quei ragazzi era ancora vivo… era Armando Romano, nome di battaglia Nando, il suo diaframma si muoveva, era ancora vivo..,
Ma tutto questo la “storia ufficiale” non lo racconta, ”nuddu ni parra ma du carusu si savvau grazie o vaddianu du cimiteru!” Mi dice Ciccina e il suo sguardo da fiero diventa rabbioso, stringe i pugni, mi abbraccia e scoppia a piangere, mi abbraccia ancora..
E’ l’istinto che guida la mia mano, stacco il mio spillino, un triscele argentato, dal mio petto e lo metto sul suo, le mostro quel simbolo per cui il suo Peppino è morto... il mio triscele adesso sta sul petto “giusto”, sul petto di una donna antica, fiera, arrabbiata e addolorata, ma dalla dolcezza infinita e dal sorriso stanco e amaro ma non sconfitto…sul petto di una madre antica, nobile e grande….proprio come la nostra terra.

Antonio Canepa e i suoi tre ragazzi dormono vicini, dunque, sotto quella colonna spezzata, come le loro giovani vite, all’ombra della loro, della nostra bandiera, i nostri fiori fanno loro compagnia, il nostro cero illuminerà per un pò la loro notte e poi sarà ancora “lotta” con loro, per loro, per quel triscele argentato…
An.Tu.Do. e gloria a Te, Antonio Canepa e a Te Peppino Lo Giudice,

An.Tu.Do.e gloria anche a Te Carmelo Rosano e a Te Francesco Ilardi…

“Caduti per la libertà della Sicilia….il Movimento per l’Indipendenza della Sicilia” pose…….
“Caduti per la libertà della Sicilia….il Movimento per l’Indipendenza della Sicilia” pose…….
Catania 17 giugno 1945..
An.Tu.Do a Voi…

di Daniela Giuffrida
Attivista M.I.S. – Movimento per l’Indipendenza della Sicilia

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