Ciappazzi, un’azienda vittima della burocrazia

In tempi di crisi l’esigenza di un’amministrazione pubblica più efficiente e trasparente appare indispensabile. Le aziende chiedono sempre più certezza del diritto e tempi certi per l’ottenimento delle autorizzazioni. I percorsi per ottenere la ripresa economica transitano attraverso una serie di provvedimenti che possono essere sintetizzati in una sola parola: semplificazione.
Ma chissà per quale strano e nascosto motivo la semplificazione è difficile da attuare. Ricordate il caso Ciappazzi? Cesare Geronzi per aver “convinto” Callisto Tanzi, patron della Parmalat all’epoca dei fatti, ad acquistare la Ciappazzi dal gruppo Ciarrapico, in difficoltà economiche, è stato condannato per bancarotta fraudolenta. Ma non voglamio parlare delle vicende giudiziarie, ma di efficienza amministrativa.
Nel 2002 la Società Cosal del Gruppo Parmalat acquista, con atto pubblico, lo stabilimento ed il diritto di sfruttamento dell’acqua minerale Ciappazzi e richiede alla Regione siciliana il trasferimento della concessione.
Se si fosse applicata la normativa nazionale, il D.P.R. 18/04/1994 n. 382, non i’ ‘Superiore’ assessorato o il ministero, ma l’ufficio periferico istruttore avrebbe dovuto emettere l’autorizzazione entro i sessanta giorni (art.16). Ma in Sicilia si applica la normativa regionale: ovvero la la legge regionale n. 54 del 1956, secondo la quale la cessione non preventivamente autorizzata è nulla e comporta la decadenza dal diritto.
Vengono quindi applicate le sanzioni, decade la concessione, si blocca la produzione. Si susseguono diversi incontri con l’assessore regionale all’Industria del tempo, Marina Noé, e con il Prefetto di Messina. Obiettivo: scongiurare il licenziamento di circa 50 lavoratori e non mettere in crisi un indotto valutato in 500 unità lavorative. Qualcuno pensa che basterebbe recepire la norma nazionale, ma occorre un passaggio in Assemblea regionale: ipotesi che non viene giudicata praticabile.
Alla fine però il passaggio all’Ars avviene. Viene approvata una norma ad hoc nella finanziaria del 2003, una sorta di sanatoria per salvaguardare i livelli occupazionali. Ma la procedura non cambia. Occorre una istruttoria del distretto minerario di Catania, una istruttoria dell’allora Ispettorato del Corpo regionale delle miniere e una successiva istruttoria di un servizio dell’allora assessorato Industria.
Per quanto veloci possono essere le istruttorie, i tre passaggi comportano una eccessiva perdita di tempo. Nel frattempo si perdono sostanziali quote di mercato, portando al fallimento la Cosal. Qualche anno fa lo stabilimento della Ciappazzi ha ripreso a produrre utilizzando una parte, sia pure esigua, delle risorse umane della vecchia gestione (appena 14 dipendenti). L’azienda ha ripreso a produrre dopo un fermo di circa cinque anni. Il danno per quest’azienda che opera in Sicilia è stato enorme: un danno provocato da una burocrazia ottusa che ha finito con il regalare quote di mercato ad aziende che, in buona parte, non operano in Sicilia.
Questo è solo un esempio. Dieci o quindici anni fa alcune aziende del Nord Italia avevano intravisto la possibilità di crescita dei Paesi Arabi e volevano investire in Sicilia proprio nelle acque minerali. Ma non appena acquisivano informazioni sulle procedure che si utilizzavano in Sicilia, l’interesse si spostava nella vicina Calabria dove la concessione si otteneva entro un anno. Mentre nell’Isola qualche imprenditore ha impiegato oltre dieci anni per iniziare a lavorare nel settore delle acque minerali.
Cosa è cambiato con la recente riforma dell’amministrazione regionale? Quasi nulla. Oggi il Corpo regionale delle miniere non esiste più. Testano i distretti minerari. I passaggi istruttori si sono ridotti da tre a due. Forse ci vorranno altri dieci anni e un’altra riforma burocratica per ottenere i tempi e i metodi che altre regioni a Statuto ordinario dispongono dal 1994. Noi siamo fiduciosi e aspettiamo. Mentre noi attendiamo, in altre parti d’Italia e dell’Europa le cose vanno avanti. E noi restiamo indietro…

 


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