Termini scaduti e memorie difensive regolarmente consegnate negli uffici della
Procura di Catania. Si chiude un nuovo capitolo dell’intricata vicenda giudiziaria che riguarda Mario Ciancio Sanfilippo. L’imprenditore e direttore dal 1976 del quotidiano La Sicilia – per anni l’unico della città e che celebra in questi giorni i 70 anni dalla fondazione – è indiziato dai magistrati etnei con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Dieci giorni dopo l’avviso di conclusioni indagini – notificato al diretto interessato il 20 febbraio scorso – la difesa aveva chiesto un termine di un mese per vagliare la documentazione e produrre nuovo materiale. All’inchiesta, iniziata nel 2009, si è aggiunto il supplemento investigativo richiesto nel 2012 dal giudice per le indagini preliminari Luigi Barone. Lo stesso che non aveva accolto la prima richiesta d’archiviazione della Procura etnea. A consegnare le deduzioni difensive di Ciancio, contenute in una carpetta azzurra adesso al vaglio degli inquirenti, è stato l’avvocato Carmelo Peluso. Da contrastare ci sono i 57 faldoni che contengono la documentazione di anni d’indagini sull’imprenditore catanese.
Proprio sul fronte difensivo è possibile che a Peluso venga presto affiancato un
nuovo avvocato. Voci di corridoio avvalorate da un dato di partenza: di recente il professore e noto giurista Enzo Musco ha rinunciato al mandato. In lista ci sono una rosa di nomi di primo piano. Su tutti Franco Coppi, difensore di Giulio Andreotti e Silvio Berlusconi – recentemente assolto in Cassazione nel cosiddetto processo Ruby -, ma anche di Sebastiano Scuto, l’imprenditore catanese condannato in appello per mafia che lo scorso giugno si è visto annullare con rinvio la sentenza. Altro nome che circola è quello di Giulia Bongiorno, ex parlamentare di Alleanza nazionale, che dal 2008 assiste Raffaele Sollecito per la vicenda dell’omicidio di Meredith Kercher e in passato, proprio insieme a Coppi, è stata tra gli avvocati di Andreotti. Indiscrezioni queste che potrebbero trovare una risposta certa a stretto giro, magari con una conferenza stampa ufficiale.
Il nome di Ciancio è finito, trovando largo spazio, nella sentenza di condanna in primo grado a sei anni e otto mesi dell’ex presidente della Regione siciliana Raffaele Lombardo. Da questo processo, su decisione del giudice Marina Rizza, sono stati trasmessi ulteriori atti alla Procura di Catania. Il giudice, nelle pagine delle motivazioni della sentenza, tratteggia la presunta esistenza di quello che viene definito un vero e proprio sistema con al centro grossi affari, mondo politico, imprenditoria e mafia. Agli atti anche i documenti che accertano la titolarità da parte di Ciancio di conti bancari in Svizzera per una cifra di oltre 52 milioni di euro. Somme di denaro che non erano state dichiarate in occasione di precedenti scudi fiscali.
Possibile poi anche l’acquisizione dei verbali dell’imprenditore
Enrico Maltauro, già depositati in alcuni processi. Il costruttore vicentino, arrestato e poi scarcerato nell’inchiesta Expo 2015 ha patteggiato una condanna a due anni e dieci mesi insieme ad altri esponenti della cosiddetta cupola degli appalti. Maltauro ha riempito diverse pagine di verbali entrando nel merito di alcuni affari in Sicilia tra cui quello – poi non realizzato – degli alloggi per i soldati statunitensi in contrada Xirumi nel territorio di Lentini. «C’è una grande forza politica, mediatica ed economica da parte di Ciancio che può tutto, quindi vedrai che questa roba potrà essere fatta». A dire queste parole – riferendosi al progetto – sarebbe stato, secondo il racconto del costruttore, un suo storico dirigente in Sicilia, il geometra Mauro De Paoli. «Mi ha detto – prosegue Maltauro – di essere andato a trovarlo una volta o due, ma la sensazione mia è stata che lui è stato portato come il pellegrino di fronte la Madonna di Pompei, seduta sul trono».
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