Far rientrare in Italia milioni di euro custoditi in alcuni fondi neri all’estero, per averli immediatamente disponibili. Nelle carte dell’inchiesta sull’imprenditore Mario Ciancio Sanfilippo – accusato di concorso esterno in associazione mafiosa – c’è anche il progetto di un’operazione finanziaria internazionale che lo coinvolge in prima persona. Mario De Benedetti e Raffaella Quarato, della società finanziaria di diritto lussemburghese J.Hirsch & Co., sono gli altri protagonisti della vicenda. Entrambi (non indagati, ndr) sono coloro che aiutano l’editore e direttore del quotidiano La Sicilia nel tentativo di riuscire a controllare, tramite un complesso schema di incastri, i fondi d’investimento di una società nel paradiso fiscale delle Mauritius. De Benedetti appartiene a una stirpe del capitalismo italiano. Dal padre Camillo, ormai defunto, fino a Carlo, editore del gruppo Espresso e del quotidiano La Repubblica. Quest’ultimo è parente di Mario ma, ci tengono a precisare dal colosso editoriale, non ha con lui rapporti d’affari.
La storia, che risale al luglio 2008, è finita con il passare del tempo sotto la lente d’ingrandimento di uno scenario d’indagine ancora più ampio. Che si allarga fino ai 52 milioni di euro conservati in Svizzera e al sequestro antimafia di 17 milioni che Ciancio ha subito lo scorso giugno. Un patrimonio immenso sul quale gli investigatori vogliono vederci chiaro per capirne l’esatta provenienza, in particolare dopo l’entrata in vigore della normativa antiriciclaggio nel 2008.
Per riuscire a togliere il velo sull’operazione che riguarda la rete offshore di Ciancio è decisiva la visita dell’avvocata nella sede del quotidiano locale. Un faccia a faccia che viene ascoltato dai militari della guardia di finanza. La professionista pugliese si reca nello studio dell’editore il 29 luglio 2008 su mandato di De Benedetti. Quarato illustra a Ciancio tutti i dettagli della complessa operazione finanziaria che intende portare avanti e che ha come risultato ultimo quello di far rientrare in Italia in maniera pulita alcuni milioni di euro.
Per portare a termine il rientro dei capitali si pensa alla costituzione di una società di diritto italiano. Questa per appena 7500 euro dovrebbe comprare Alexandra, società olandese di proprietà di una fiduciaria dei Paesi bassi. Una sorta di scatola vuota – già esistente – in cui a mettere la liquidità dovrebbe essere la Plurifid. Una società per azioni, con sede a Torino, in cui all’epoca dei fatti Ciancio partecipa con un milione e 700mila euro. Per riuscire nell’acquisto, secondo lo schema illustrato dall’avvocata, Plurifid dovrebbe sottoscrivere delle obbligazioni emesse dalla società olandese. Alexandra a questo punto, acquisita la liquidità, potrebbe acquistare la Golden Summit. Una holding delle isole Mauritius di proprietà dell’imprenditore etneo e che detiene le partecipazioni sempre di Ciancio in tre fondi offshore. Due a Madeira, piccola isola in Portogallo, e uno in Lussemburgo. Nella cassaforte di questi paradisi fiscali ci sono complessivamente quasi cinque milioni di euro di cui oltre 700mila euro impegnati per conto dell’editore da Mario De Benedetti.
Alla fine la società italiana, passando per quella olandese, diventerebbe la vera proprietaria dei fondi neri di Ciancio che così riuscirebbe, almeno secondo il progetto che gli viene illustrato, a far rientrare nei confini nazionali in maniera pulita e sotto un regime fiscale agevolato i soldi. Un’operazione piena di ombre, almeno secondo gli investigatori, che avrebbe avuto come fine quello di mascherare la vera struttura nera dei capitali. «Per evitare che il fisco italiano veda subito che da una struttura nera… La Plurifid ha acquistato tutto e che quindi il nero lo facciamo diventare bianco… Non va bene, quindi ci vuole Alexandra», spiega Quarato a Ciancio.
L’avvocata – non indagata – viene sentita dagli inquirenti come persona informata sui fatti nel 2011. Inizialmente nega tutto. Dai possibili legami proposti nel faccia a faccia tra la società olandese e Ciancio, fino alla conoscenza di fondi dell’editore nella Plurifid. Quarato dice di non sapere nemmeno se l’editore fosse in possesso di fondi neri. La versione dei fatti tuttavia cambia dopo che i militari fanno sentire alla fiscalista la sua voce intercettata insieme a quella di Ciancio. In un passaggio l’editore, riferendosi alle società, dice: «Io teoricamente non potrei averle». Affermazione a cui segue la risposta dell’avvocata: «Nessuno sa, nessuno deve sapere».
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