Chiede soldi e paga interessi del 2000 per cento Per scampare a un usuraio si rivolge a un altro

Stretto nella morsa dell’usura, per saldare i debiti con il suo strozzino finisce nelle mani di un altro uomo della stessa pasta. È con l’accusa di usura aggravata ai danni di un piccolo imprenditore che sono stati messi agli arresti domiciliari Camillo Scuderi (classe 1984, detto Meluccio) e Alfonso Giovanni Angiolini (classe 1957, detto ‘zu Giuvanni di bibiti). A entrambi è stata sequestrata la somma di 35mila euro, ritenuta essere il profitto usuraio.

La vittima, prima lavoratore dipendente non in regola e successivamente titolare di una ditta individuale a Catania, al fine di fronteggiare alcuni bisogni personali e, poi, di sostenere la propria attività professionale si è rivolta ai due per ottenere denaro per un complessivo ammontare di 32mila euro. Il primo a prestare soldi al piccolo imprenditore sarebbe stato Scuderi: dieci prestiti per un ammontare complessivo di 18mila euro in contanti. Pretendendo come compenso, oltre che la restituzione dei 18mila euro, anche interessi di oltre 23mila euro. Con un tasso che oscillava tra il 117 e il 1997 per cento.

A lui la vittima si era rivolta nel 2011, quando il suo lavoro non regolare gli impediva di avere accesso a piccoli prestiti bancari. Però i soldi gli servivano per la concessione di un mutuo per comprare la prima casa. Così l’uomo si sarebbe rivolto a Meluccio, noto per la sua attività usuraia. Il patto era semplice: versamento del denaro contante alla vittima sottraendo già dal prestito iniziale interessi mensili al dieci per cento.

Per essere più chiari: chiesto un prestito di mille euro, alla vittima ne venivano dati 900, con l’obbligo di versare cento euro di interessi ogni mese, finché la vittima non avesse potuto versare, tutti insieme, i mille euro del prestito iniziale. La vittima entra così, per una cifra minima, nel tunnel dell’usura. E si trova costretta a chiedere altri prestiti non solo per pagare l’usuraio ma anche per sostenere la propria attività lavorativa e la propria famiglia.

Mai, precisa la guardia di finanza in una nota, ci sono stati atti intimidatori. Anche perché Scuderi si sarebbe ingegnato per trovare nuove formule che gli permettessero di rientrare del capitale investito. In un’occasione (per la restituzione di un prestito di duemila euro per il quale la vittima ne aveva già pagati tremila di soli interessi), il malcapitato era stato costretto ad accendere un finanziamento per tremila euro, a nome della sua convivente, per l’acquisto delle porte di casa di Camillo Scuderi.

Stesso schema per il finanziamento acceso per l’acquisto di un nuovo scooter sempre per il presunto usuraio (4.800 euro) e per una macchina (15mila euro). Affinché venisse concesso il finanziamento, Scuderi sarebbe intervenuto direttamente nella procedura di accensione, presentando buste paga fasulle per conto della persona a cui poi sarebbero state addebitate le rate del finanziamento.

Nel 2015, la vittima non ce la fa più con le sue forze. Ed è costretto a rivolgersi al secondo strozzino: Angiolini, in tre diverse circostanze, gli avrebbe concesso prestiti di quattromila, seimila e di nuovo quattromila euro in contanti. Con rate da 450 euro a settimana, cioè un tasso oscillante tra il 108 e il 520 per cento. Per pagare il debito, così, il piccolo imprenditore avrebbe venduto l’attività ad Angiolini per 15mila euro (valore sottostimato), pur continuando a lavorare dietro il pagamento all’uomo un affitto di cento euro settimanali

Adesso, dopo otto anni di disperazione, i due sono stati arrestati. Camillo Scuderi, scrivono le fiamme gialle, vanta legami parentali con esponenti della criminalità organizzata. Il padre, Salvatore Scuderi (classe 1963) è accusato di essere vicino al clan Santapaola-Ercolano e oggi si trova in libertà vigilata. Era stato condannato per produzione, spaccio e traffico di stupefacenti, rapina, sequestro di persona ed estorsione aggravata. Per traffico di stupefacenti è stato invece arrestato il suocero di Scuderi, Alessandro Di Pasquale (classe 1970), scarcerato nel 2015. 

Alfonso Giovanni Angiolini è invece titolare della ditta omonima che i occupa di commercio ambulante di bevande, profumi, cosmetici e saponi. Nell’ultimo triennio non avrebbe prodotto alcun reddito.


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