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Pippo Mancari, il boss libero con l’indulto che reggeva il clan a Biancavilla. «A lui chiesi il permesso per spacciare»

Per tutti è «‘u pipi» o «lo zio Pippo» e davanti a lui bisogna abbassare la cresta e mostrare una certa referenza dandogli addirittura del «vossia». Giuseppe Mancari, 75 anni, secondo i magistrati della procura di Catania, era tornato a reggere le fila del clan mafioso Toscano-Mazzaglia-Tomasello, articolazione pedemontana della famiglia etnea di Cosa nostra dei Santapaola-Ercolano. Mancari avrebbe rivestito il ruolo di reggente dal 2017, come emerso nell’ambito dell’indagine Ultimo atto che ha portato all’applicazione di 13 misure cautelari in carcere. Figura centrale dell’ordinanza è proprio il boss 75enne, già condannato all’ergastolo, passato per un periodo al 41bis, ma tornato libero alle pendici dell’Etna grazie all’indulto e a una serie di sconti sulla detenzione. A supportarlo sarebbe stato anche uno dei figli, Maurizio Mancari, adesso accusato di traffico di sostanze stupefacenti ma non destinatario di misura cautelare.

La corsa alla successione nel clan, però, non sarebbe stato un semplice passaggio di testimone. Dietro l’acquisizione della leadership si è consumata una lunga lotta intestina fatta «da un’impressionante sequenza di omicidi», si legge nell’ordinanza firmata dalla giudice Daniela Monaco Crea. A morire, salvo poi riuscire a scappare all’agguato, doveva essere anche lo stesso Pippo Mancari. Il 2 novembre del 2015, due sicari a bordo di uno scooter Honda SH300 gli sparano almeno sei colpi di pistola mentre il boss attende la moglie impegnata a comprare il pane in un’attività lungo viale Europa a Biancavilla. Il sicario, però, non ha una buona mira e Mancari senior rimane vivo. «Per quanto ne so io era molto riservato e non si esponeva molto. Lui è un capo storico del clan, certamente veniva informato delle attività illecite, e io stesso gli chiesi il permesso di spacciare, cosa che mi venne concessa, ma lui cercava di non esporsi lasciando fare agli altri», racconta ai magistrati il collaboratore di giustizia Vincenzo Pellegriti, in passato gestore di una piazza di spaccio a Biancavilla proprio per il clan Toscano-Mazzaglia-Tomasello.

Di droga e persone che spacciavano senza autorizzazione si sarebbe parlato anche durante un summit, avvenuto a casa di Mancari, alla presenza di Cristian Lo Cicero, boss di Adrano vicino al clan Mazzei, e dello stesso Pellegriti. «Stasera Riccardo o si dichiara con me o si va a dichiarare con Pippo ‘u pipi – diceva Lo Cicero – perché se lui vende un grammo di erba non ci vanno addosso i biancavillesi, con tutto rispetto ai biancavillesi. Gli do addosso io, ci vado come un carro armato, mi metto sotto la sua casa, appena esce gli sparo in testa».

L’autorità mafiosa di Mancari sarebbe stata utile anche per la gestione di alcuni affari collegati alla festività di San Placido. Nel 2018, tra i casi citati nell’ordinanza in cui emerge l’imposizione a tappeto del pizzo, ci sarebbe stata la concessione di un’autorizzazione da imporre a camion e bancarelle per una fornitura di panini morbidoni da imbottire con la carne. Altra vicenda quella relativa a un estintore che un commerciante avrebbe trovato davanti uno stand. «Zio Pippo, lo sa che la voglio bene. La sua parola la faccio passare in capo al mondo ma questa volta basta», diceva la vittima della ritorsione alludendo anche al nome del possibile responsabile del gesto. A partecipare al dialogo, a casa di Mancari, era anche la moglie del boss con tanto di consiglio su come cercare di risolvere il problema: «Perché non gli mettete la telecamera? Così vediamo chi è».


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