Quelli che erano partiti sognando la California e si ritrovano a Catania

Catania. Qui si glorificava l’Etna Valley, una sorta di miracolo californiano. Si parlava di rinascimento e di movida, di una vita notturna febbrile sulle strade del centro storico sottratte alla criminalità. Ora la metafora perfetta di Catania è la sua metropolitana. Quattro chilometri realizzati a fine anni Novanta, e non è avanzata neppure di un metro. Un luogo di abbandono e immondizia cristallizzata ai lati di scale mobili fuori servizio. Sei fermate, una vettura fantasma che viaggia su e giù come un insetto chiuso in una scatola. Due vagoni – mai si è visto un metrò così corto – eppure sono troppi: perché in tutto si possono contare tre, quattro persone. Il trenino, già partito, si ferma e riapre le porte per raccogliere un prezioso viaggiatore ritardatario. Come fosse la corriera per Acitrezza.

 

Il 7 maggio 2005, a pochi giorni dal voto, un Berlusconi con caschetto giallo, un Berlusconi metropolitano, poneva la prima pietra della stazione di Nesima, nel Nord-Ovest della città. Oggi, proprio dove sindaco e premier si scambiarono affettuosità e sorrisi, non si vede che il cartello ovale. “Fino a qualche mese fa c’era anche una specie di escavatore” racconta chi vive qui,  “poi tolsero anche quello”. Ma se si chiede al sindaco, Umberto Scapagnini, che ne è della stazione inaugurata, risponde così: “La stazione? C’è, a Nesima la stazione c’è”. Forse si riferisce a quella in superficie, della linea etnea, che esiste da decenni, ed approfitta dell’ignoranza topografica del forestiero. Più probabilmente la risposta è il risultato di un incantamento: lui vede quello che non c’è.

Catania ha esaurito l’entusiasmo. E’ una città dove sono tornati gli abusivi, dove il tassista sibila: “L’unica prduzione che funziona, qui, è il traffico”. Forse fu troppo gonfiata l’immagine del prima, ma certo oggi è di nuovo la città dell’arrangismo, del voto di scambio, delle inchieste giudiziarie, perfino sui fondi per la festa di Sant’Agata. Il sindaco è sotto inchiesta anche lui, per avere elargito, a tre giorni dalle elezioni, una somma variabile tra i 300 e i mille euro ai quattrocentomila dipendenti comunali per i danni dovuti alle ceneri del terremoto 1990. Senza averne alcun titolo.

 

L’astro di questa città ripiegata viene da Grammichele, paese della provincia, e ha gli occhi chiari da siciliano freddo. Seguire Raffaele Lombardo, ex DC, ex UDC, oggi leader degli autonomisti siciliani (Mpa), è un tuffo indietro nella Prima repubblica. “Lui è dappertutto” dicono i suoi collaboratori. Segue quello che accade nei mercati come le elezioni per il consiglio dell’ordine dei geometri. Onorevole, Catania ha perso la sua spinta propulsiva? Storce la bocca: “Un po’, forse”.

Nei primi anni del centrodestra, Lombardo era il vicesindaco di Scapagnini, poi divenne presidente della Provincia. Si riferisce a questo? Sorride: “Una coincidenza”. Ha trattato con tutti, centrodestra e centrosinistra. Lei cosa avrebbe preferito? “Per me era uguale, sto con chi consente autonomia. Ma ho sentito che il ventre molle del mio elettorato non era ancora pronto per il centrosinistra”. Lombardo ha fatto il miracolo: dare una costola a Sud alla Lega di Bossi. La cosa è ufficiale, il simbolo sarà diviso (due terzi alla Lega, un terzo al Mpa). E’ venuto qui Calderoni e gli occhi freddi di Lombardo lo hanno squadrato come si fa con un parvenue, ma utile. Si riuscirà a far mettere ai siciliani la croce su Alberto da Giussano?

Con Scapagnini, Lombardo è riuscito nell’intento. Un anno fa, il sindaco è stato riconfermato dai catanesi in una battaglia su cui Berlusconi giocò tutto. L’unica vittoria in un campo punteggiato da sconfitte. Enzo Bianco, l’avversario (Margherita, a Catania il primo partito), racconta dei tanti soldi spesi dal premier in quei giorni. Investimenti sproporzionati.

 

E poi Scapagnini ha avuto soldi dallo Stato come, forse, nessun altro: con i fondi speciali (e i poteri) della Protezione civile per l’emergenza traffico, con la legge di assorbimento dei precari fatta ad Cataniam, con regole che praticamente erano state tagliate addosso alla città. Soldi sfruttati tutti in campagna elettorale. Ma non bastavano mai.

A fine 2005 si calcolava un buco di almeno 80 miliardi di euro (2003-2004), che metteva il Comune in condizioni imbarazzanti. Alla richiesta del consigliere d’opposizione Giovanni Giacalone a proposito delle consulenze – arrivate nei primi anni a 125, per svariati milioni di euro, compresa miss Eritrea e l’autista della moglie di Scapagnini – il sindaco rispondeva che non poteva mostrare il lavoro di questi collaboratori “per impossibilità di fare le fotocopie”.

 

C’erano le consulenze, ma non c’era la carta. Neppure quella igienica nei bagni. Cerano uffici in agitazione “per mancanza di cancelleria e strumenti elementari di lavoro”. Il sindaco minimizza: “Il buco c’era, non c’è più. Nel 2005 siamo in pareggio”.

Ma è la solita generosa illusione. In realtà il bilancio di previsione ottiene il pareggio con la vendita di beni comunali che non sono definiti né misurati per valore.

Venderete? “E’ una bugia dell’opposizione, non venderemo niente. Ho solo chiesto di catalogare e stimare i nostri beni. Se qualche impianto sportivo si mostrerà improduttivo o ingestibile, vedremo”. Ma se il bilancio è pareggiato con quelle vendite… Scapagnini non entra nel merito, preferisce i grandi scenari. Il water front di Catania, per il quale è stata chiesta una consulenza all’architetto catalano Orioli Bohigas pagata 516 mila euro. Un grande professionista. Ma a che cosa servirà? Soprattutto a dare parole al sindaco, parole per i giornalisti, per gli elettori. Un fiume incontenibile. “Catania diventerà questo e quello. Ma non si vede niente se non le opere fatte con i fondi della Protezione civile, in parte ferme o in ritardo”, osserva il vicepresidente di Confcommercio, Nino Nicolosi. “Sta venendo di nuovo alla luce la debolezza di questa città, la sua cialtroneria”.

 

Dietro ogni atto apparentemente logico, se si sposta il tappeto, si scopre un po’ di polvere. Dice Scapagnini: “Dopo quarant’anni abbiamo presentato un nuovo piano regolatore”. Ma il piano è solo una sintesi vaga, poi ci sono state le elezioni e nessun consigliere comunale lo ha mai potuto vedere. Se non viene ripresentato, in realtà, non esiste. Dice Scapagnini: “Non abbiamo aumentato l’Ici né perseguito i cittadini, preferendo il dialogo e gli accertamenti con adesione”. Ma l’evasione è enorme. E se l’Ici non è cresciuta, sono diminuite le detrazioni per chi ha la prima casa. Che significa – spiegano i tecnici – circa 100 euro in più per cittadino. Le aziende pubbliche, che potrebbero essere in attivo, sono in deficit per assunzioni clientelari, sprechi. Tutto è rivolto alle elezioni, non all’amministrazione.

Caso forse unico in Italia, il sindacato ha chiesto le dimissioni del sindaco, ponendo, tra l’altro, una “questione morale” che non sembra affatto di moda. “All’ombra di questa strategia amministrativa, è stato tutto un fiorire di appalti, anche in forza dei poteri e dei soldi che sono stati affidati da Berlusconi al suo sindaco” dicono i sindacalisti Pippo De Natale (Cgil) e Salvatore Leotta (Cisl). Facendo capire che si sta aprendo una nuova stagione di possibile saccheggio.

 

L’aeroporto dipende da due società, una dovrebbe controllare l’altra, ma il responsabile è lo stesso, Stefano Ridolfo. Sindacati e Confindustria sembrano rappresentare la nuova, anomala, trincea di lotta. Il giovane presidente degli Industriali, Fabio Scaccia, 38 anni, volto della rinnovata dirigenza appoggiata da Montezemolo, è molto esplicito: “Si stanno ricreando logiche di potere paralizzanti, che vogliono controllare tutto, che pretendono rappresentanti di categoria che sono uomini di associazione e non di produzione, asserviti al potente di turno”. Chiede le dimissioni del presidente della Camera di Commercio (che è sempre Ridolfo, lo stesso che presiede i due enti aeroportuali) e del presidente dell’Asi, la società che gestisce l’area industriale, Alfio Massimino. La St Microelectronics, l’azienda tecnologica che ha portato cinquemila posti di lavoro, il cuore della famosa California siciliana, attraversa una crisi e a Catania si sente sempre più stretta. Scapagnini lo sa? “Avevano detto che se vincevo io alle elezioni sarebbero andati via. Io ho vinto, ma loro sono ancora qui”. Poi sorride: “Vede quante bugie raccontano su Scapagnini”.

 

(L’articolo, firmato da Attilio Giordano, è stato ripreso da Il Venerdì di Repubblica del 24 febbraio 2006)


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