A Catania l’ufficio comunale preposto al rilascio del contrassegno disabili non è accessibile ai disabili. Il più grave dei paradossi messi nero su bianco nella diffida presentata al Comune dalla cellula etnea dell’associazione Luca Coscioni. «Quello che più ci amareggia – lamenta a MeridioNews Maurizio Vaccaro, uno dei coordinatori della no profit di promozione sociale che si occupa di libertà civili e di diritti umani – è che da parte della politica e dell’amministrazione locale, nonostante i proclami, c’è una totale insensibilità sul tema della disabilità». Un assunto che prende forma dopo mesi di tentativi di interlocuzione e che ha portato l’associazione a presentare, a settembre, una diffida al Comune per sollecitare l’amministrazione ad adottare il Piano di eliminazione delle barriere architettoniche (Peba).
Uno strumento previsto da una legge di quasi quarant’anni fa, che a Catania – come in molte altre città italiane – non è ancora nemmeno sulla carta. «E che, invece, sarebbe fondamentale per garantire la piena accessibilità agli spazi pubblici anche a persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale – sottolinea Vaccaro – Anche perché, spesso, le barriere architettoniche e sensoriali diventano anche barriere sociali che non consentono la piena realizzazione esistenziale delle persone con disabilità». E nemmeno di compiere azioni quotidiane in uffici pubblici: che si tratti di andare a richiedere un certificato di nascita, di morte, di unione civile o di rinnovare la tessera elettorale; e nemmeno – addirittura – di ritirare proprio il pass del contrassegno unificato disabili europeo (Cude). Limiti che sono emersi nel corso dei diversi sopralluoghi effettuati dall’ingegnere Massimiliano Aureli su incarico dei soci della cellula catanese dell’associazione Luca Coscioni.
Senza un Peba, i luoghi da cui iniziare a verifiche le condizioni di accessibilità sono stati scelti sulla base delle necessità prioritarie dei cittadini. Un primo sopralluogo è stato effettuato al Centro direzionale San Leone (in via Alessandro La Marmora, 23), che è la sede comunale dei Servizi demografici, decentramento e statistica. Si tratta di uffici che, in pratica, si occupano di registri della popolazione, servizi di stato civile (nascite, matrimoni, unioni civili, divorzi, separazioni, regimi patrimoniali, morti) e delle liste elettorali. Uffici che non sono accessibili a persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale e dove «è assente ogni tipo di informazione – si legge nella relazione presentata dall’ingegnere – e sono del tutto mancanti guide pedo-tattili e segnaletica tattile per ipovedenti». Situazione ancora peggiore è quella riscontrata al Comando generale della polizia municipale di Catania (in piazza Spedini, 5/A), dove – oltre all’ufficio autorizzazioni per l’accesso alle aree cimiteriali, l’ufficio di controllo edilizio, infortunistica stradale, oggetti rinvenuti, ricorsi amministrativi, segreteria di servizi di prossimità e tutela ambientale – c’è anche l’ufficio preposto al rilascio del contrassegno disabili (Cude).
Per entrare nell’edificio dove ritirare il pass disabili ci sono tre gradini. Primo ostacolo, ma non l’unico, visto che per arrivare davanti allo sportello informazioni c’è una scalinata composta da sette gradini. E quindi una persona con disabilità motorie come dovrebbe fare? «Previo appuntamento, un addetto può andare in strada – fuori dall’edificio – per erogare i servizi previsti», è la risposta che l’ingegnere incaricato dall’associazione Luca Coscioni si è sentito dare, durante il sopralluogo, dal personale comunale presente. Anche non fosse una soluzione inaccettabile, tra l’altro, il marciapiede attorno all’edificio non è neanche dotato di rampe di collegamento con il piano stradale. «Tutto questo – dichiara Vaccaro insieme all’altro coordinatore locale, Massimiliano Aureli – costituisce una violazione dei diritti costituzionali e internazionali che garantiscono l’uguaglianza dei diritti e la non discriminazione delle persone con disabilità».
Così, scaduti i termini per ricevere una risposta dal Comune alla diffida, dall’associazione Luca Coscioni sono «intenzionati, con il supporto dei nostri legali, ad andare avanti con il ricorso al Tar». Un iter giudiziario a cui si arriva dopo diversi passaggi istituzionali che, però, finora non hanno portato a nulla. A febbraio, il capogruppo del Partito democratico in Consiglio comunale, Maurizio Caserta, ha presentato sul tema un’interrogazione che è stata discussa durante un question time. Poi è arrivata una risposta scritta da parte dell’assessore all’Inclusione sociale, Bruno Brucchieri. Un documento in cui, oltre a sostenere che «questa amministrazione ha costantemente prestato particolare attenzione e sviluppato sensibilità all’abbattimento delle barriere architettoniche», si prende consapevolezza del fatto che «la stesura di un Peba (prevista dal 1986, ndr) è un lavoro complesso ma necessario per rendere la nostra città inclusiva e a misura di tutti i cittadini».
Un passo avanti nella teoria che, però, non avvicina alla pratica. «Si conferma – si legge ancora nella risposta dell’assessore Brucchieri – che rientra nei programmi prioritari di questa amministrazione procedere al completamento e all’attuazione di tale piano (il Peba, ndr), anche attraverso l’individuazione delle idonee fonti di finanziamento». E, su questo, una mozione del capogruppo di Fratelli d’Italia in Consiglio comunale, Erio Buceti, proponeva già a febbraio di destinare «una quota (non inferiore al 10 per cento) delle entrate derivanti dagli oneri di urbanizzazione e dalle sanzioni in materia urbanistica ed edilizia ai fini dell’abbattimento delle barriere architettoniche». Una proposta che, però, non ha mai avuto seguito. «Ed è una inadempienza – sottolineano i coordinatori locali dell’associazione Luca Coscioni – che compromette i diritti delle persone con mobilità ridotta, ostacolando la loro libera circolazione e impedendo l’accesso a servizi e spazi pubblici in condizioni di parità con gli altri cittadini». Disponibili ancora a sedersi attorno a un tavolo insieme alle istituzioni, «andremo avanti con la nostra battaglia anche se – conclude Vaccaro – ci sembra assurdo dover lottare per un diritto normato da una legge di quarant’anni fa».
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