Una rivalità storica e una ferita, sportiva e non solo, che difficilmente si rimarginerà. Quella tra Catania e Taranto era una partita da cerchiare in rosso nel calendario per i possibili scontri tra le due tifoserie. Ieri, nei dintorni dello stadio Angelo Massimino, si è assistito a una vera e propria caccia all’uomo sia prima che dopo la partita, vinta dagli etnei per 1-0 con goal di Samuele Di Carmine. Decine di ultras, vestiti di nero con i volti parzialmente coperti e armati di cinture e mazze, hanno perlustrato alcune strade attorno all’impianto sportivo: da via Passo Gravina a via Milo, passando per viale Andrea Doria lungo la circonvallazione. I partecipanti al corteo di motorini – molti dei quali con targhe coperte con pezzi di stoffa e nastro isolante – e al concentramento nella zona del carcere non sono però riusciti a entrare in contatto con i pochi tifosi arrivati dalla Puglia, accolti all’interno del settore ospiti tra i fischi del pubblico di casa.
Dietro la rivalità c’è un fatto accaduto durante la stagione 2001/2002 in occasione di Taranto-Catania. I tifosi pugliesi, all’epoca, avevano esposto uno striscione blasfemo su Sant’Agata, patrona del capoluogo etneo. Così ieri, dalla curva Sud, è comparsa una scritta che non lascia spazio a interpretazioni: «Offendere Sant’Agata è un segno di infamità! Per voi nessuna pietà. Taranto M**da». I ricordi dei tifosi etnei vanno anche a quanto accaduto in campo nel 2002 con il Catania, guidato dal presidente Luciano Gaucci, che conquistò ai playoff la promozione in serie B proprio ai danni del Taranto.
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