Giampiero Ventrone non è più il preparatore atletico del Catania. La decisione, presa dalla società, è maturata subito dopo la partita persa al Massimino contro il Frosinone. Le ragioni della scelta puntano alla condizione fisica mostrata dalla squadra. Già contro il Pescara, settimana scorsa, i rossazzurri avevano dato cenni di fiacchezza nel bel mezzo della gara. Sintomi imputati ad un difetto di preparazione atletica emerso, con clamorosa evidenza, nel secondo tempo della sfida sostenuta sabato contro i ciociari. La separazione tra Ventrone ed il Catania, chiesta a gran voce dalla piazza ma smentita con forza ed a più riprese dalla società, non sarà indolore.
Ventrone, un passato da procuratore vicino alla Gea, fu consigliato all’addì Cosentino la scorsa estate. Conosciuto nel giro dei preparatori per i suoi metodi “militari”, parve il profilo più adatto per evitare il ripetersi del cosiddetto «ritiro scampagnata». Colpa numero uno imputata dal club al retrocesso Catania preparato da Roberto De Bellis (nell’annata dei record definito il mago dei muscoli). Ventrone volle carta bianca e la ebbe: contratto milionario biennale, sei collaboratori più una nota nutrizionista, macchina del freddo da svariati mila euro, abbattimento e ristrutturazione della palestra, assoluta autonomia ed indipendenza sulla conduzione atletica dei calciatori.
Tra i benefici derivanti dalle metodologie militari di preparazione atletica, Ventrone avrebbe dovuto garantire ai giocatori l’incolumità fisica. All’elevato numero di infortunati sofferti la stagione precedente, il Catania aveva attribuito buona parte delle responsabilità della retrocessione in B. Non intendeva dovere ripetere la cantilena né soffrirne le conseguenze durante la programmata corsa promozione. Purtroppo, sin dai primi giorni di ritiro, il numero di infortuni muscolari schizzò a quote anomale. A metà stagione aveva superato il record negativo toccato nell’intera disgraziata stagione precedente. Ben 26. Unici superstiti: Calaiò e Marcelinho.
Giocatori improvvisamente scomparsi dai radar. Infortuni solo raramente accompagnati da diagnosi e prognosi. Silenzio con la stampa. Elenchi dei convocati all’osso. Allenamenti a ranghi ridotti. Mai una formazione titolare uguale alla precedente. Calciatori, come Capuano, adattati per necessità in ruoli impensabili. Formazione titolare imbottita di Primavera (che seguivano i metodi di un diverso preparatore). Condizione fisica altalenante tra un tempo e l’altro. Cambi in corso di gara spesso obbligati a causa di infortuni. Anche più del necessario, vista la retrocessione sul groppone e le ambizioni di ammazzare il campionato, per valere una grandinata biblica di critiche quasi unanimi.
Parte della stampa ne obiettava l’operato, ricordando i precedenti similari conclusi anzitempo a Bari e con l’esonero da Livorno e da Ajaccio. I tifosi, iniziarono ben presto a valutare i fatti piuttosto che gli encomi. La miccia l’accese l’arrivo in panchina della schiettezza di Sannino. Nel corso di Catania-Varese, davanti ad un Rosina stremato, l’allenatore s’arrabbiò col preparatore sotto gli occhi dell’intero Massimino. A Livorno, costretto ad effettuare tre cambi obbligati su tre, per infortunio, sbottò: «I numeri parlano chiaro. Ho stima di Ventrone ma chiedo alla società un passo indietro. Vorrei solo potere allenare la squadra al completo e finora non è stato possibile».
Sannino però, dimenticava quanto affermato dall’addì Pablo Cosentino la prima volta che difese l’operato di Ventrone: «Non ho dati che colleghino il suo operato con la ragione degli infortuni. Finché io sarò al Catania lui resterà a capo della preparazione». E così, a finire sulla graticola non fu Ventrone, ma Sannino stesso. Fu imputato dal presidente Pulvirenti di «avere le responsabilità principali del rendimento della squadra, della condizione atletica e di alcuni infortuni». Sannino, così come era arrivato a Catania, dimessosi, se ne andò. Fu questo passo che fece esplodere la contestazione della Catania rossazzurra, dura quanto partecipata.
La difesa di Ventrone fu intesa come il tentativo della società di screditare l’opinione di Sannino, le cui parole incarnavano le rimostranze della piazza stessa. Da qui la percezione di avere subito una prepotenza. La reazione fece presto seguito. Tre i destinatari: Pablo Cosentino, accusato di avere preso e difeso Ventrone. Alessandro Moggi, ritenuto il consigliere della scelta Ventrone. Ventrone stesso, visto incarnazione d’una scelta sbagliata e difesa più che altro per solo orgoglio, a sprezzo del comune senso di “bene del Catania”. Allo slogan «Non entriamo», nelle partite contro Brescia e Carpi, il Massimino rimase pressoché vuoto. Ma le istanze dei tifosi non vennero ascoltate.
La società colse l’occasione data dal calciomercato per rivoluzionare tutto o quasi. Cambiò l’allenatore, per la terza volta. Cambiarono otto undicesimi della squadra titolare. Arrivò pure un direttore sportivo, per gestire meglio la squadra. Unico ruolo di campo a non cambiare assegnatario fu il preparatore atletico. A Ventrone il compito di dimostrare che non sue, ma degli «svogliati calciatori argentini» erano le colpe di infortuni e condizione atletica mediocre. Le prime due partite parvero dare ragione al club. Due vittorie convincenti che non solo i più scettici si domandavano se non fossero legate più alla vecchia preparazione degli otto nuovi che non a quella di tre reduci.
La sfida contro il Modena doveva essere il banco di prova. Rinviata, divenne invece la possibilità per Ventrone di lavorare per sedici giorni di fila sui giocatori. Al ritorno in campo, contro il Crotone, la squadra, pur confermata nei nomi, parve mutata nella condizione atletica. I primi nuovi mugugni furono cancellati dal pari di Castro e dalle proteste della società verso l’arbitro. Infuriato, l’addì Cosentino, ruppe il silenzio, accusò l’arbitro e, nel mentre, colse l’occasione per ribadire alla stampa: «E’ una vergogna il modo in cui avete trattato Ventrone, come fosse lui la causa degli infortuni. Lui è rimasto, Sannino è andato via e nessun giocatore s’è più infortunato».
Parole tornate indietro come un boomerang. A Pescara la squadra arranca e perde con l’uomo in più. Alla ripresa degli allenamenti, dopo l’infortunio di Schiavi (prima di Modena-Catania), si fermano Calaiò e Belmonte. Il difensore recupera, l’attaccante è costretto a saltare la sfida col Frosinone. Curiosità, Calaiò era l’unico giocatore in organico, dall’estate, a non essere fino ad allora incorso in infortuni. Nel primo tempo il Catania perde Coppola, stiramento. Passa in vantaggio con Martinho. Nel secondo, non ha più forze. Il Frosinone ribalta la gara. Pure Martinho esce per infortunio. Il pubblico, dopo l’esaltazione per le prime due vittorie, contesta come non mai.
Dagli spalti piovono insulti e fischi a chicchessia. La hit parade vuole Ventrone in cima a parimerito con Cosentino. Secondo gradino per Pulvirenti, terzo per la squadra. Al termine della gara, il Catania è ultimo, la posizione di Ventrone, unico “salvato” dalla rivoluzione di gennaio, è debole come mai prima. La società, uscita a pezzi dalla contestazione, non ha più la forza necessaria per difenderlo. Nelle ore che precedono la mezzanotte avviene l’incontro tra le parti in cui vengono concordate le modalità di separazione. Nell’unica dichiarazione strappatagli dalla stampa, dopo Catania-Bari, Ventrone disse: «Abbiamo un grande alleato, il tempo. La strada è ancora lunga».
E’ invece finita prima del tempo. Per mano della società ma per volere dei tifosi. La contestazione porta alla consegna della prima testa delle tre domandate. Una soluzione netta che in ogni modo pare arrivata troppo tardi. Raddrizzare la stagione, nata puntando ai play-off, è una missione al limite dell’impossibile. Lo sarà anche dimostrare che tutta la colpa di ciò, prima addossata all’allenatore, possa ricadere adesso solo sul preparatore e sulla preparazione e non su chi, per otto mesi, lo ha difeso. Quel che resta è tanto tempo mal gestito, un investimento costoso andato in fumo ed una classifica in cui il Catania deve correre non per sognare ma per salvarsi.
Al posto di Ventrone arriva Massimino Neri. Il nuovo preparatore atletico ha, in comune con Ventrone, l’esperienza alla Juventus. In bianconero arrivò insieme a Capello, che aveva incrociato già alla Roma e che seguì nelle successive tappe sulle panchine di Real Madrid e poi della nazionale inglese e russa. Gli scudetti conquistati con la Juventus, ancora allora diretta da Luciano Moggi, vennero uno revocato, l’altro assegnato d’ufficio all’Inter. La ragione fu il coinvolgimento della Juventus nello scandalo Calciopoli, al quale seguì quello della Gea capeggiata dal figlio dell’ex dg juventino, Alessandro Moggi.
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