Mentre l’Italia sta davanti alla Tv, sintonizzata sulla finale di Sanremo o su Juventus-Napoli, qualche migliaio di catanesi decide di passare il sabato sera al Massimino. Alcuni solo per sostenere i colori rossazzurri, altri anche per contestare Antonino Pulvirenti. Cori per la maglia e insulti al patron si mischiano, tra la nebbia dei fumogeni e il rumore dei petardi. Intanto Catania-Lecce, dopo un rigore sbagliato dal Lecce e una traversa ciascuno, finisce 0-0.
Il risultato è lo stesso della gara d’andata. E anche stavolta, in campo, il Lecce ha giocato meglio e collezionato più occasioni. Mentre le due squadre battagliano, però, sugli spalti si gioca pure un’altra partita. Quella dei tifosi contro il proprietario della società, Antonino Pulvirenti. Intenzione anticipata, ancora prima del fischio d’inizio, dagli striscioni esposti sulle vetrate dello stadio: «Noi unico patrimonio», in curva Nord; «Senza dignità, avete tradito la nostra città», in curva Sud. Che più volte, nel corso dei 90 minuti, sono stati accompagnati da cori e altri messaggi espliciti contro l’ex presidente. Ai quali i gruppi organizzati della curva Sud, nel primo tempo, hanno aggiunto petardi e fumogeni, alcuni lanciati verso il campo.
Una contestazione dai toni più accesi del solito. Gli scandali, la retrocessione, la classifica, i risultati e le prestazioni della squadra, le lungaggini nella vendita del club sono le motivazioni di sempre. Alle quali si è aggiunta, di recente, – e non solo agli occhi dei tifosi – la tetra prospettiva di un possibile fallimento. Più temuta dopo l’arresto di Pulvirenti per bancarotta fraudolenta. Ben più di una goccia per molti tifosi, che è stata aggiunta nella pentola già ribollente e da tempo priva del coperchio della pazienza. Con modi diversi, i gruppi organizzati pretendono lo stesso: l’immediato addio dell’ex presidente e, di conseguenza, l’altrettanto rapida cessione del club a un diverso proprietario.
L’altra partita, quella che pare meno importante per il futuro del Catania, e che si gioca sul rettangolo verde, è racchiusa nei primi 45 minuti di gioco. Comincia dopo quatto giri di lancetta, quando Garufo dà una mano al Lecce – quella con cui tocca il pallone in area – mandando Moscardelli sul dischetto di rigore. Ma il barbuto bomber dei salentini rifiuta il gesto di benvenuto. Dopo un’attenta rincorsa calcia il pallone in modo tale da spiazzare sia Liverani che la trentina di tifosi giunti da Lecce: il pallone, rasoterra, va a finire addosso al tabellone luminoso che reclamizza una carrozzeria. Il Catania sfiora la rete con Bastrini, poi sono i due portieri a meritare più lodi degli attaccanti. Liverani smanaccia lontano dalla linea del gol un colpo di testa, forse solo mimato, di Moscardelli. Perucchini devia sulla traversa la conclusione di Calil, sfoderata da posizione quasi impossibile. Occasione pareggiata dall’incrocio dei pali centrato dal solito Moscardelli, al 42esimo minuto.
Sul campo non accadrà più nulla dopo che, al primo minuto della ripresa, in uscita bassa Liverani ruba il pallone dai piedi di Papini proprio un istante prima della conclusione. Il pubblico ha poco con cui distrarsi – la bicromia ricercata delle scarpette di Calderini, una rossa e una nera, ci riesce per un attimo – e i momenti più partecipati restano i cori che invocano il cambio. Non uno di quelli operati da Pancaro dalla panchina, senza effetti sulla partita. Ma quello al vertice della società. La voce dei settemila e più presenti – secondo la stima della società; cinquemila, invece, a colpo d’occhio – parla più forte delle giocate dei calciatori.
L’appello a non mancare, mosso dai gruppi della curva Nord, ha funzionato. Ma solo in curva Nord, che conta molti più sostenitori rispetto all’ultima partita in casa. Il tifo è incessante e rivolto alla maglia. Che non per tutti è sinonimo di calciatori, allenatore, squadra, dirigenza. Come dimostrato dall’indifferenza al saluto dei giocatori rossazzurri, a fine partita, seguito dai fischi che li accompagnano verso gli spogliatoi. Poi dagli insulti al direttore dell’area tecnica Marcello Pitino. Ma il messaggio finale, come quello iniziale, è dedicato al protagonista del Catania di ieri e di oggi: Antonino Pulvirenti. Con l’augurio, ribadito ad alta voce dai tifosi prima di abbandonare le gradinate, che non sia più il protagonista del Catania di domani. Mattina.
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