Sei anni dopo la morte di Valentina Milluzzo, arriva la sentenza di primo grado nel processo in cui erano imputati il primario di Ginecologia dell’ospedale Cannizzaro Francesco Scollo e cinque dirigenti medici: Silvia Campione, Giuseppe Calvo, Alessandra Coffaro, Andrea Benedetto Di Stefano e Vincenzo Filippello. Con loro anche l’anestesista Francesco Cavallaro. La giudice monocratica Elena […]
Caso Valentina Milluzzo, condannati quattro medici del Cannizzaro e assolti altri due imputati
Sei anni dopo la morte di Valentina Milluzzo, arriva la sentenza di primo grado nel processo in cui erano imputati il primario di Ginecologia dell’ospedale Cannizzaro Francesco Scollo e cinque dirigenti medici: Silvia Campione, Giuseppe Calvo, Alessandra Coffaro, Andrea Benedetto Di Stefano e Vincenzo Filippello. Con loro anche l’anestesista Francesco Cavallaro. La giudice monocratica Elena Maria Teresa Calamita della terza sezione penale ha assolto Scollo, Di Stefano e Cavallaro con la formula «perché il fatto non sussiste». Disposta, invece, la condanna a sei mesi con pena sospesa per gli alti imputati. Gli stessi sono stati condannati al risarcimento con una provvisionale esecutiva di 30mila euro nei confronti della parte civile Angela Maria Milluzzo.
La procura di Catania, con i magistrati Fabio Saponara e Martina Bonfiglio, ipotizzava il reato di concorso in omicidio colposo, evidenziando una serie di presunte omissioni da parte dei camici bianchi. L’inchiesta è durata due anni ed è cominciata con una denuncia ai carabinieri della famiglia Milluzzo, originaria di Palagonia. Sotto la lente d’ingrandimento il decesso della 32enne, avvenuto il 16 ottobre 2016 poco dopo avere perso i figli che portava in grembo da cinque mesi. Il ricovero di Milluzzo risaliva al 29 settembre 2016, giorno in cui arrivò all’ospedale Cannizzaro di Catania per una dilatazione anticipata dell’utero. Il peggioramento tra il 2 e il 5 ottobre, fino alla morte per una sepsi con crisi emorragica dovuta a un’infezione che, secondo i magistrati, non venne riconosciuta dai medici del nosocomio.
Uno dei punti più controversi di questa storia è collegato all’esame del tampone vaginale, utile per individuare eventuali infezioni. Il primo venne fatto il giorno dopo il ricovero – 30 settembre 2016 -, poi venne ripetuto il 10 ottobre, ma il risultato di quest’ultimo, come emerso durante il processo, non finì mai nella cartella clinica della paziente, salvo poi essere inviato in forma anonima, cinque mesi dopo, allo studio dell’avvocato Salvatore Catania Milluzzo, legale che ha seguito il caso della famiglia dall’inizio di questa vicenda. Il quadro clinico della 32enne precipitò la notte del 14 ottobre – due giorni prima del decesso -. Il primo aborto venne annunciato ai familiari il 15 ottobre e gli stessi avrebbero chiesto ai medici di procedere allo stesso modo anche nei confronti del secondo feto. In quel momento, stando alla loro versione, il dottore Andrea Di Stefano – finito assolto – avrebbe replicato che non sarebbe potuto intervenire in quanto obiettore di coscienza. Ipotesi, quest’ultima, da sempre negata dai vertici dell’ospedale anche durante una conferenza stampa.