La richiesta dell'avvocata Alessandra Furnari è stata accolta. Il 23 febbraio la Corte di Cassazione si esprimerà sul conflitto tra i due tribunali. «Non abbiamo preferenze - dice il fratello del parà - Vogliamo una sentenza che restituisca dignità»
Caso Scieri, il ministero della Difesa citato in giudizio L’associazione Giustizia per Lele non sarà parte civile
Citare in giudizio come responsabile civile il ministero della Difesa nel processo al tribunale ordinario di Pisa per la morte di Emanuele Scieri, il parà siracusano ucciso il 13 agosto del 1999 nella caserma Gamerra di Pisa e ritrovato tre giorni dopo ai piedi di una torretta di asciugamento dei paracadute. È questa la richiesta avanzata oggi dalla legale della famiglia Scieri, l’avvocata Alessandra Furnari, al giudice per le indagini preliminari Pietro Murano che l’ha accolta. La prossima udienza al tribunale ordinario di Pisa è stata rinviata al 29 marzo. È stata ammessa la costituzione di parte civile della madre di Lele Isabella Guarino e del fratello Francesco, mentre il giudice ha respinto la richiesta dell’associazione Giustizia per Lele. «Il pubblico ministero – dice a MeridioNews l’avvocata Furnari – aveva sostenuto che andava riconosciuta e, invece, come già avvenuto per il processo al tribunale militare di Roma, è stata rifiutata». Il motivo è sempre lo stesso: l’associazione, che (ovviamente) è nata dopo la morte del 26enne, non ha il diritto soggettivo previsto dal codice.
Sono accusati di omicidio con l’aggravante dei futili motivi i tre ex commilitoni di Scieri: il caporale Alessandro Panella, ex capocamerata originario di Cerveteri oggi 41enne; Andrea Antico, originario di Casarano (in provincia di Lecce) e l’unico ancora in servizio presso il settimo Reggimento Aves di Rimini; e Luigi Zabara, residente nel Frusinate. Per loro tre l’accusa è di omicidio volontario aggravato da motivi futili e abietti. Oltre a loro sono indagati per favoreggiamento l’ex comandante della Folgore, il generale Enrico Celentano (che oggi ha 76 anni) e l’allora aiutante maggiore Salvatore Romondia (adesso 73enne). Stando a quanto trapelato finora, pare che se il processo resterà a Pisa, c’è la possibilità che gli indagati chiedano di essere giudicati con il rito abbreviato.
«Il nostro diritto soggettivo è nella lotta e nel sacrificio vissuto in questi 21 anni – dichiara il presidente dell’associazione Giustizia per Lele Carlo Garozzo – Il nostro diritto soggettivo è liquido nelle vene e non ha un tempo o un momento. È nato nell’esatto momento in cui capimmo che Emanuele fu vittima di un atroce atto di violenza, quando in tanti parlavano di suicidio o folle e autonomo gesto di autolesionismo. Tutto questo – assicura Garozzo – non fermerà quanto abbiamo fatto e quanto continueremo a fare».
Intanto, il 23 febbraio la Corte di Cassazione si esprimerà sul conflitto di attribuzione sollevato dalle difese degli imputati che contestano la competenza militare sull’inchiesta per la quale sono tuttora pendenti due procedimenti. A vent’anni dalla morte del paracadutista in servizio di leva, la procura di Pisa ha riaperto le indagini dopo la relazione della commissione parlamentare d’inchiesta. Poco dopo, la procura generale militare della corte d’Appello di Roma ha chiesto il trasferimento dell’indagine. Al momento, i due procedimenti vanno avanti parallelamente. «Noi chiediamo che sia un giudice a pronunciarsi su questa vicenda e non abbiamo preferenze – ha ribadito Francesco Scieri – anche se qui sono a giudizio gli ufficiali che avevano il dovere di vigilare e non lo hanno fatto. A noi interessa una sentenza che restituisca dignità a mio fratello ma anche al corpo della Folgore. Nostro padre ci ha insegnato il senso del dovere, quello che la notte del 13 agosto 1999 in quella caserma è venuto meno».