Caso Saguto, terminato controesame amministratore «Andare oltre l’erronea rappresentazione dei fatti»

Dopo tre udienze preliminari e un controesame diviso in due puntate, si è concluso ieri a Caltanissetta l’interrogatorio di Carmelo Provenzano, tra i protagonisti dell’indagine a carico della giudice Silvana Saguto, ex presidente della sezione Misure di prevenzione del tribunale di Palermo per la gestione dei beni confiscati. Per l’accusa Provenzano, fra aprile e maggio 2015, avrebbe avuto il ruolo di coinvolgere nelle amministrazioni giudiziarie, con l’avallo di Silvana Saguto che autorizzava le nomine, i propri congiunti più stretti, spesso con incarichi di facciata utili solo a giustificare esborsi di denaro pur in assenza delle prestazioni dovute. «Rispondendo alle domande, Provenzano ha puntualmente dimostrato la correttezza del proprio operato e degli altri coadiutori dell’amministrazione giudiziaria di Roberto Nicola Santangelo», spiega l’avvocato Boris Pastorello, che lo difende insieme al collega Antonino Falzone.

Come nelle scorse udienze, Provenzano ha chiesto il permesso di rilasciare alcune dichiarazini spontanee e, rivolgendosi al giudice Marcello Testaquatra, ha chiesto di «andare oltre l’erronea rappresentazione dei fatti». Intanto, anche in questa occasione le domande dei magistrati Maurizio Bonaccorso e Claudia Pasciuti hanno puntato a fare luce anche sul legame personale tra la giudice e l’amministratore, e sul suo incarico di «coach», così lo ha definito l’imputato, nei confronti di uno dei figli di lei, Emanuele, che avrebbe aiutato nella preparazione della tesi di laurea. Le udienze riprenderanno la prossima settimana con la parola che tocca all’accusa.

Mentre esce di scena, invece, il pm Dario Scaletta dopo la decisione di ieri del gip del tribunale di Milano di accogliere la richiesta di archiviazione nei suoi confronti. Era stato coinvolto anche lui con l’accusa di aver rivelato segreti d’ufficio relativi alle indagini: avrebbe comunicato al giudice Fabio Licata, imputato a sua volta, che dalla Procura di Palermo erano partiti verso Caltanissetta alcuni atti scaturiti da una serie di intercettazioni effettuate dentro una concessionaria appartenente a un patrimonio sequestrato, dalle quali sarebbero emersi validi spunti di indagine a carico dei magistrati palermitani. Un discorso ritenuto, però, vago e generico dai pm milanesi, e gonfiato probabilmente dal clamore mediatico sollevato dallo scandalo della gestione dei beni confiscati.


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