Caro direttore le scrivo,
perché sono rimasto colpito, ammaccato dalle sue parole livide, crude e inconsolabili che così ben tinteggiano il pessimismo che si ha quando ci si mette a pensare al futuro di Catania: città dal cuore irrigidito e dallo sguardo perennemente basso.
Il timore di cui parlo risiede, soprattutto, nelle speranze di una generazione che, le assicuro, non riesce proprio a restare mani in mano, ma che forse ha perso lucidità. Perché di certa voglia di fare si respira forte in giro; perché lo stesso giornale nel quale scriviamo oggi, è sorto innanzi tutto dalle energie primordiali di molti di noi.
E allora le/mi chiedo: cosè che si perso strada facendo? Oppure: cosha influito perché quella prospettiva che non cè di cui lei parla, ritorni in qualche modo a far parte delle angolazioni possibili di questa città così imperfetta e irregolare, così sgraziata e impopolare, così poco ribelle, ma così intelligente?
Certo, lo so, a domanda non si risponde con una domanda. A perplessità non si ribatte altra perplessità. Ma, se i giovani non ce la fanno; se le nuove generazioni navigano a mare aperto con zattere fragili e scricchiolanti; se molti di noi, nei nostri corridoi non arredati, non riesce proprio a correggere e a dare una sterzata allautobus impazzito, è davvero solo colpa nostra?
Caro direttore le scrivo,
perché la sua disillusione mi ha fatto male. Perché è sempre incoraggiante avere un messaggio di riscossa, soprattutto da uomini di cultura come lei. E le confesso che mi sono venute le gambe molli leggendo la sua frustata. Come le gambe molli ne sono certo avranno accasciato molti di quelli che il giornalismo lo vedono ancora come una sfida. Si il giornalismo:
che volto ha a Catania il giornalismo? Forse ormai troppo vecchio per un pubblico di lettori che seguono il ritmo dei giornali nazionali così accattivanti, così saporiti, così intraprendenti.
A Catania il giornalismo è invecchiato subito dopo esser nato. Dalla culla al bastone, almeno questo sembra lopinione comune. A Catania il giornalismo ha il fiato corto e per questo cammina invece di correre. Ha smesso di chiedersi qual è il suo ruolo, ha smesso di riflettere sui suoi obiettivi, ha smesso di ricercare la verità nelle cose.
E anche Step1 difetta in tutto questo. E mi chiedo: non sarà che, invece di scappare dal modello in crisi, il nostro giornale rifiuti lambizione di correre per i fatti suoi? Che ci stiamo facendo inghiottire dalla stanchezza generale? Che il mono-tono abbia scolorito anche noi? Che non abbiamo il coraggio desser coraggiosi?
Caro direttore le scrivo,
perché da Roma, dove mi trovo adesso, la mia città mi manca come non mai. Perché forse a guardarla da lontano sembra più bella. Forse a distanza certi difetti non si notano. E allora mi viene ancora più rabbia. Perché invece, lo sguardo a distanza, ha un ulteriore effetto: riesce ad inquadrare tutto nel suo insieme. E tutto nel suo insieme è molto difficile da digerire.
E così, se proprio la generazione di cui mi sento, con questa lettera, un qualsiasi rappresentante, non ci riesce ad alzare lo sguardo. Se proprio non ha laspirazione di guardare più avanti dellombra dei propri piedi. Beh allora ha ancora bisogno di voi, di lei, caro direttore.
Ha ancora bisogno che qualcuno detti il riscatto, indichi almeno una via, un possibile sbocco per il sogno di cui parlava con molta amarezza nel cuore
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