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Carabiniere assolto per violenze sessuali all’ex compagna: i giudici sono gli stessi del docente di UniCt
Non solo il professore di Medicina dell’Università di Catania accusato di violenze sessuali a sette studentesse. A essere assolto dallo stesso collegio difensivo è stato anche un carabiniere, poi congedato, imputato per violenza sessuale, maltrattamenti, lesioni e stalking nei confronti della sua ex compagna convivente. Nelle motivazioni della sentenza, i giudici scrivono che non si può escludere che «si sia trattato di uno scontro reciproco […] Non è possibile individuare con certezza un soggetto che abbia “attaccato” e uno che si sia semplicemente “difeso“, per cui si impone una pronuncia di tipo assolutorio». L’accusa, invece, aveva chiesto per il militare messinese 36enne una condanna a nove anni di reclusione. Anche in questo caso, la procura di Catania appellerà la sentenza emessa dalla quarta sezione del tribunale penale etneo.
Nel processo, la vittima si è costituita parte civile. Tra la documentazione ci sono diverse foto che mostrano le lesioni della donna (labbro arrossato, occhio gonfio, ematomi al braccio) e tre referti di Pronto soccorso per minacce di aborto e un trauma addominale con tentativo di strangolamento con una prognosi di dieci giorni. Anche la difesa dell’imputato porta delle immagini in cui si vedono dei graffi. I due si erano conosciuti sui social a gennaio del 2017. A quattro mesi da quel primo contatto su Instagram, lei scopre di essere incinta e ad agosto vanno a convivere. «È capitato che mi chiamasse di notte perché non capiva perché avevo cercato il profilo di una persona su Facebook […] Gli dovevo dare tutte le spiegazioni del caso […] E poi lui mi chiedeva scusa per avermi svegliata». Quando è all’ottavo mese di gravidanza, la relazione si interrompe una prima volta per un «grave episodio». In macchina, l’uomo l’avrebbe picchiata fino a farle uscire sangue dal naso e dalla bocca. «Lui mi dice che ha sbagliato e ha capito i suoi errori e che cercherà di rimediare. Io, per amore di famiglia, accetto volentieri questa cosa». Tornano a vivere insieme in una casa più grande e, poco dopo, nasce il loro figlio, ma «non è cambiato niente. La pace è durata una decina di giorni. Poi già mi trovavo di nuovo con i lividi al viso che dovevo giustificare con tutti».
Nelle denunce la donna racconta che il 36enne l’avrebbe strattonata, schiaffeggiata facendole uscire sangue dalla bocca e dal naso, colpendola con pedate e pugni, spinta contro i mobili, fatta cadere a terra, avrebbe tentato di strangolarla e le avrebbe anche tirato i capelli fino a strapparle delle ciocche. Tutto questo pure mentre era in gravidanza e davanti agli altri due figli avuti da una precedente relazione. Non solo, in diverse occasioni, l’avrebbe costretta ad avere rapporti sessuali non consensuali. Di fronte ai rifiuti, sarebbe diventato furioso. «Non capiva che avevo partorito da una settimana – dichiara la vittima – e mi costringeva ad avere rapporti sessuali. Acconsentivo solo per non farlo diventare violento. Durante l’atto sessuale ho pure pianto, ma a lui non gliene fregava niente. Gli dicevo: “Fai quello che devi fare, basta che poi mi lasci in pace e mi fai dormire“. Poi – aggiunge – faceva il pentito, cercava di abbracciarmi, come se non fosse successo nulla». Per convincerla a ritirare le querele, «mi minacciava di farmi chiudere il bar, facendo una telefonata a non so chi». Tra millantate promesse d’amore eterno e pesanti offese, l’uomo avrebbe insistentemente chiesto di riallacciare il rapporto con telefonate e messaggi, anche di notte, pure ai familiari della ex convivente.
L’uomo rifiuta ogni accusa e, anzi, nel corso del suo esame al processo, dice di essere stato picchiato a sua volta riportando graffi, lividi e segni di un morso. «Il problema cruciale – afferma l’imputato – era che non potevo soddisfare le sue richieste di acquisto di un appartamento e venivo insultato ed etichettato come un buono a nulla, un incapace […] Ero sempre puntualmente bersagliato, quasi ogni giorno», aggiunge l’uomo negando di essere il responsabile delle lesioni refertate alla donna. Senza, però, riuscire a dare una spiegazione se non adombrare sospetti su possibili manovre simulatorie della ex per accusarlo. «Che, poi, a sua volta lo stesso imputato possa avere ragioni di astio e livore nei confronti della ex – scrivono i giudici nelle motivazioni della sentenza di assoluzione – appare quasi scontato in considerazione delle gravi ripercussioni che le denunce sporte dalla ex hanno avuto sulla sua vita privata (nei rapporti con il figlio, ndr) e lavorativa (con un provvedimento di sospensione e congedo dall’arma dei carabinieri, ndr)».
Per i giudici, l’istruttoria non avrebbe offerto «una plastica rappresentazione della sistematica sopraffazione». Tanto che parlano di un «altalenante rapporto di coppia, connotato da incrociate recriminazioni di gelosia e, non da ultimo, dalla reciproca aggressività fisica e verbale». Stando alle motivazioni della sentenza, non si può escludere che «si sia trattato di uno scontro reciproco […] Non è possibile individuare con certezza un soggetto che abbia “attaccato” e uno che si sia semplicemente “difeso“». Nella conclusione, inoltre, si legge che «non è possibile individuare, oltre ogni ragionevole dubbio, un soggetto prevaricante e un soggetto prevaricato, ma un rapporto bilateralmente tossico e disfunzionale». Infine, i giudici si soffermano a commentare i motivi che hanno spinto la vittima alle querele. «Appare singolare che, a fronte dei ben più gravi episodi, la donna solo a distanza di mesi e a fronte di una condotta connotata da intensità lesiva minore si sia determinata a denunciare l’ex». Al collegio appare «singolare» pure che nei mesi precedenti ci siano stati tentativi di riavvicinamento con «prove d’amore offerte dall’imputato che, per dare prova concreta della sua fedeltà alla donna amata, anche durante i mesi di distacco, le consegnava il cellulare per consentirle di controllarne le comunicazioni telefoniche e social».