Cara Elena, ti racconto Rabarama

Cara Elena, anche se non te ne importa niente delle sculture istallate ieri davanti al Teatro Massimo per l’esposizione di Arte Moderna e Contemporanea; anche se tu e i tuoi amici avete pensato di spaccare bottiglie e di lasciare scritte sulle parti intime di questi giganti piovuti in una delle piazze più note di Catania; anche se forse, proprio tu, queste righe nemmeno le leggerai, magari, qualcuno te le riferirà, perciò ti voglio raccontare Rabarama.

Le sue opere sono esposte in Messico, negli Stati Uniti, in Cina, in Francia; a Roma fa mostra insieme ai maggiori nomi della scultura contemporanea: Kostabi, Mambor, Ceccobelli, Turcato, Paladino. A Catania lo sanno in pochi chi è ma questo importa relativamente, per imparare a conoscere c’è sempre tempo, lo studio può anche venire dopo, intanto bisognerebbe cominciare con l’istruire lo sguardo. I più grandi estimatori catanesi di Rabarama, i bambini che ieri mattina giocavano felici con i suoi giganti, proprio non sapevano nulla, dei suoi riconoscimenti o della sua scultura che soggiorna nella piazza del municipio di Shangai, ma quel tripudio di colori li ha impressionati a prima vista.

Quando ho conosciuto il suo lavoro mi aveva colpito pensare che già a dieci anni guardava le opere del papà scultore e ne rubava le forme, quelle rotonde nudità che avrebbe fuso nel bronzo qualche anno dopo; e dalla mamma ceramista carpiva l’attenzione per il dettaglio, cucito a mosaico sulla pelle delle sue statue, e i misteri dell’arabesco e dell’intreccio delle linee. Forse per questo dice grazie ai genomi in molte sue opere, perché ai geni dei suoi genitori deve molto. Poi rende grazie ai rettili, agli intrecci di erba e alberi, all’alfabeto, ai labirinti della vita, ai puzzle che creano incastri impensabili, ai nidi d’ape dietro cui è nascosto chissà quale miele, alle acrobazie a cui c’impegna l’esistere, ai principi originari, all’umanità in continua metamorfosi e, infine, al libero arbitrio. Quel libero arbitrio che ieri, cara Elena, ti ha portato a spaccare birra e consumare inchiostro indelebile sulle sue sculture. E, dunque, fai come ti pare, se questo gesto ti rappresenta non sarò io a giudicarlo ma tu. A me, onestamente, dispiace soprattutto per quei bambini che ieri giocavano, al sole di primavera, dentro alle gambe di questi colossi colorati che improvvisamente hanno popolato la piazza: mi dispiace che, tra i vetri rotti e le scritte sconce, probabilmente non giocheranno più. Come i bambini capiscono l’arte più dei grandi questo è ancora un mistero per molti, non per me, io credo di sapere perché: loro hanno lo stupore che molti altri hanno perso.

Sicuramente questa città ha pochi e scarsi musei e i giovani non sono educati all’arte, verosimilmente questa città ha poco rispetto per i beni culturali, forse questa città valorizza ancora troppo poco il patrimonio perché ci sia per la bellezza la dovuta stima, ma… questa città, ogni tanto, qualche buona azione la compie e, sorpresa, ti ritrovi in piazza i titani di Rabarama! alti quasi tre metri; la pelle dipinta di complessi universi; le pose, a volte, di contemplazione sulla terra e, altre, di equilibrio sul confine col cielo; e le labbra, carnose e vive, e gli occhi, spesso spalancati sulle cose… Ricordati quegli occhi spalancati, Elena, tu o chi per te, ricordati lo stupore dei bambini, ricordati che la bellezza salverà il mondo solo se il mondo salverà la bellezza…

 

 

[foto in apertura da http://www3.reggiocal.it/fotogallery/upload/mostra%20rabarama/rabarama_1.jpg]


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