Il padrino, arrestato nel blitz Penelope, è accusato anche nell'inchiesta Capolinea. La sua carriera è iniziata con i Tigna, salvo poi cambiare casacca dopo l'uccisione del nipote Sebastiano Fichera. Con un gruppo tutto suo avrebbe controllato diversi paesi della Sicilia orientale. Nelle carte anche i nomi dei figli e di un cugino
Cappello e il boss «vecchia pasta» Pippo Balsamo Investimenti, stupefacenti e l’assistenza familiare
Cocaina e marijuana tra le province di Siracusa e Catania. Estorsioni a società che si occupano di energia rinnovabile e posa della fibra ottica. Ma anche teste di legno a cui intestare fittiziamente beni. Un’intraprendenza come segno distintivo da affiancare al nome di una sorta di dominus: Calogero Giuseppe Balsamo, per tutti «Pippo». Già arrestato durante l’operazione antimafia Penelope, nelle scorse settimane, si è visto notificare nuove accuse provenienti dalla procura di Caltanissetta. Per i magistrati nisseni che hanno firmato l’inchiesta Capolinea, lo «zio Pippo» da anni avrebbe esteso il suo business in diversi paesi della Sicilia. Forte del ruolo di vertice di un sottogruppo a conduzione familiare dei Cappello-Bonaccorsi, nonostante una carriera criminale iniziata con gli Sciuto–Tigna. Decisivo per il cambio di casacca sarebbe stato un vecchio fatto di sangue. L’omicidio del nipote in ascesa Sebastiano Fichera, ucciso dall’ormai ex clan dello zio il 26 agosto 2008, perché accusato di essere in affari con i rivali dei Cappello. Una storia tutta interna alle dinamiche criminali cittadine: il padre di Fichera, Antonino, successivamente si sarebbe fatto carico di sparare per vendicare la perdita del figlio.
Balsamo è un personaggio «della vecchia pasta», come si definisce lui stesso. Capace, a 58 anni, di reggere le fila anche nei periodi in cui all’interno del panorama mafioso etneo cambiano gli assetti. A gennaio 2013, qualche anno prima dell’operazione Penelope, durante un’intercettazione telefonica spiegava la spartizione dei soldi all’interno del suo gruppo: «Ogni mese si dividono tra i 350mila e i 400mila euro […] c’è una gerarchia. Abbiamo Turi Cappello, ogni mese sono 10mila euro… Che mandiamo. Perché c’è sua moglie che deve fare il colloquio e ci va con l’aereo».
Un business considerevole, in cui sarebbe entrato nel settore droga anche il cugino Giuseppe Ravaneschi, che sarebbe riuscito a resistere anche a un tentativo di ammutinamento interno portato avanti direttamente al cospetto di Massimiliano Salvo: presunto capo dei Cappello sulle orme del padre Pippo ‘u carruzzeri. Oltre alla droga, Balsamo avrebbe effettuato investimenti in alcune attività commerciali. Di questo sono convinti gli investigatori quando ipotizzano un esborso di 100mila euro per la fornitura di un supermercato a Siracusa, in viale Teocrito. Nella provincia, a Noto, Palazzolo Acreide e Augusta, zio Pippo sarebbe stato il beneficiario finale di un’estorsione da 8000 euro. Pagata, forse solo in parte, da un imprenditore impegnato nei cantieri della fibra ottica. Quando Balsamo finisce in galera «insieme ai due figli Massimiliano e Salvatore» sarebbe stato il terzo figlio Giuseppe, non indagato, a reclamare il saldo. «’Sta cosa sava definiri, non è chi ci u pozzu mettiri oggi dumani, oggi dumani, oggi dumani», avrebbe detto il 29enne a un uomo che si interessava della faccenda.
Il più grande dei figli, Massimiliano, in manette nell’inchiesta Penelope, sarebbe stato uno specialista nella riscossione. In decine di intercettazioni della procura di Catania viene trascritta la sua voce mentre invita le vittime a pagare le rate dei prestiti, perché «noialtri non siamo mica la Findomestic». E per chi non rispettava le scadenze sembrava esserci solo una strada: «Botte». Nella lista delle vittime finisce il titolare di un locale in via Teatro Massimo, un imprenditore del settore serramenti con 30 dipendenti e pure un panettiere. Quando quest’ultimo era in ritardo con i pagamenti, lo spartito era sempre uguale: «Prendi botte tu e tuo cognato». C’è poi chi i Cappello li cercava in prima persona per riottenere dei crediti: «Grazie per il conforto. Mi sto appoggiando a voialtri anche da un punto di vista psicologico», diceva un imprenditore poi finito tra gli indagati.