Il passo di ieri - con Siracusa e Ragusa che salutano Catania e la nomina di due commissari - non sembra essere l'ultimo atto. Che potrebbe consumarsi nelle aule dei tribunali, mentre la spartizione dei beni pesa sul futuro dell'aeroporto di Fontanarossa e Comiso
Camere di Commercio, un addio ancora controverso Dalla spartizione dei beni al possibile ricorso al Tar
Una separazione in piena regola. Con un coniuge che sbatte la porta, un altro che non la prende bene, qualche vittima collaterale e beni da dividere. Una separazione che, in quanto tale, potrebbe presto finire in tribunale. È la situazione delle Camere di Commercio siciliane, dopo la notizia di ieri della scissione di Siracusa e Ragusa da Catania, per unirsi all’ente che vede già raggruppate le province di Trapani – sede centrale -, Agrigento e Caltanissetta. Con la decadenza dei vertici precedenti e la nomina di due commissari: la provincia etnea sarà traghettata alle elezioni per i il governo dell’ente da Giuseppe Giuffrida – commercialista, curatore di note aziende e superconsulente nell’azione di dissequestro dei beni dell’editore Mario Ciancio Sanfilippo -; mentre alla super-camera a cinque andrà Massimo Conigliaro, presidente dell’Ordine dei commercialisti di Siracusa. Non proprio un caso, considerato che la ribellione parte proprio dalla provincia aretusea.
La questione risale a luglio del 2021, quando la deputata siracusana di Forza Italia Stefania Prestigiacomo propone un emendamento al decreto Sostegni bis che contiene proprio l’addio di Siracusa e Ragusa alla Camera di Commercio del Sud Est, dove stavano insieme a Catania. Un’idea che, al voto, trova anche l’accordo di Lega e Movimento 5 stelle, diventando legge e trasformandosi in pratica nell’unione con Caltanissetta, Agrigento e Trapani. A quel punto è stato tutto un susseguirsi di dichiarazioni. I sindaci, al pensiero di ritrovarsi una sede centrale distante più di 300 chilometri, a Trapani, esprimono la loro contrarietà. Ragusa si sente tirata in causa senza aver potuto esprimere il proprio parere. Lega e M5s iniziano a vacillare: va bene staccarsi, ma era proprio necessario un accorpamento così geograficamente eterogeneo? Risposta semplice: sì, perché per legge la Sicilia non può avere più di quattro Camere di Commercio, e nel conto vanno messe anche quella di Messina e Palermo-Enna. Così si tenta di salvare il salvabile: sussurrare alla Regione Siciliana la possibilità di chiedere al Ministero dello Sviluppo economico un quinto ente.
La Regione si prende il suo tempo e a fine anno allarga le braccia: nessun ricorso, ormai la legge c’è, l’unica cosa che si può fare è rappresentare a Roma il proprio «formale dissenso» e il desiderio di una quinta Camera, e intanto attendere la nomina dei commissari dei due enti modificati per «verificare la sostenibilità economico-finanziaria della proposta di riorganizzazione camerale». Una posizione attendista, con il tempo e le festività che avranno dato modo al dissenso della giunta regionale di stemperarsi, considerata la nota di congratulazioni ai due neo-commissari arrivata ieri dal presidente dell’Assemblea regionale Gianfranco Miccichè, anche commissario di Forza Italia in Sicilia. Poche righe in cui non si fa menzione della ricerca di soluzioni alternative, ma il percorso sembra ormai tracciato tra auguri di buon lavoro e promesse di «massima collaborazione istituzionale».
Ma se da Siracusa è partita la rivolta, è improbabile che Catania subisca l’abbandono senza reagire. E, nello specifico, ricorrendo al Tribunale amministrativo regionale, con una domanda: se lo Stato si è limitato a fissare il numero massimo di Camere di Commercio per regione, senza entrare nel merito della loro distribuzione, è ammissibile che poi si faccia eccezione per la Sicilia decidendo chi deve stare con chi? Una questione che, nei piani etnei, potrebbe porre dubbi di natura costituzionale, rimandando la decisione a Roma e, nel frattempo, ripristinando lo stato precedente. Con Catania, Siracusa e Ragusa di nuovo insieme. Nell’attesa di capire cosa succederà, però, resta la spinosa questione della divisione dei beni. Che stavolta, a differenza di una normale separazione, non sono case ma aeroporti: Catania e Comiso. Già legati da Sac spa, la società di gestione dell’aeroporto etneo che detiene le quote di maggioranza dello scalo ragusano (con una piccola parte del Comune di Comiso); ma da ieri ancora più uniti dopo l’annuncio della fusione.
L’ex Camera di Commercio del Sud-Est deteneva la maggioranza delle quote che adesso, nelle intenzioni manifeste di Prestigiacomo, andranno divise: così Siracusa e Ragusa dovrebbero portare in dote alla sede di Trapani una parte ciascuno delle otto quote. Altre tre restano alla Camera di Commercio Catania che, con la parte della ex provincia e del Comune etnei, continuerebbe a detenere la maggioranza. Le quote restanti sono invece della Regione – tramite l’Irsap, l’Istituto regionale per lo sviluppo delle Attività produttive – e il Libero consorzio comunale di Siracusa. Ma se ogni conto si fa con dare e avere, Catania è pronta a chiedere indietro all’ex coniuge aretuseo le somme anticipate durante la vita matrimoniale e che ammonterebbero a qualche milione di euro. In mezzo c’è Ragusa, che porterà nel nuovo ente i propri conti abbastanza in ordine – nella speranza che, nella media, non diventino in disordine – e poi c’è il personale delle varie province che adesso si chiede: ma a noi, alla fine, chi ci pagherà gli stipendi?