Buzzati, il Coni e l’incubo rossazzurro Come guastarsi il gusto di una vittoria

Quand’ero ragazzo lessi un racconto di Buzzati intitolato Sette piani. Ne fui molto impressionato. È la storia di un signore, tale Giuseppe Corte, che viene ricoverato in una specie di sanatorio. Ci entra dal settimo piano: quello destinato ai malati di malattie leggerissime, malati che appena possono dirsi tali. E ci entra con l’aspettativa di essere presto dimesso. Senonché, dopo una decina di giorni, quasi per chiedergli un favore, gli infermieri gli chiedono di spostarsi, temporaneamente, al sesto piano: dove non ci sono casi disperati, certo, ma già si fanno i conti con malanni un po’ più gravi. Da quel momento, per il povero Giuseppe, comincia una discesa che non finisce più. Una volta con la scusa delle ferie del personale, un’altra per un disguido burocratico, un’altra per colpa di un disturbo banale ma fastidioso, un’altra ancora per trovargli una stanza vicina alla macchina dei raggi con cui deve curarsi, lo vediamo scivolare giù di piano in piano: ogni volta più spaventato; ogni volta con la speranza di potere presto cominciare la risalita verso la salute; ogni volta protestando, sempre più furioso e disperato, quando arriva qualcuno a trascinarlo un piano più in basso. Fino al giorno in cui, nella sua stanza al pianterreno, le persiane scorrevoli cominciano a scendere da sole, chiudendo il passo alla luce.

Sarà per l’ombra allegorica proiettata da questo racconto – che, non so perché, mi è tornato in mente in questi giorni – che oggi non riesco a gioire più di tanto per il nostro ritorno alla vittoria esterna di sabato pomeriggio sul campo della Lupa Castelli Romani. Avversario che, peraltro, non è di quelli che rendano particolarmente gustoso un successo sul suo campo. Sia per la sua posizione da ultima in classifica e da squadra derelitta del girone. Sia per la dimensione extraterritoriale in cui si muove: dacché una squadra che porta il nome dei Castelli Romani – ossia di quel territorio a sud-est della capitale che deve la sua fama ai suoi vini e all’impareggiabile porchetta – si trova inopinatamente a giocare le sue partite non nella sua Frascati, bensì nel territorio a nord di Roma chiamato Sabina, precisamente nell’antica città di Rieti. Dove, come è facile immaginare, questa squadra delocalizzata non conta tantissimi tifosi; e comunque, ieri, ne aveva molti in meno dei sostenitori rossazzurri in trasferta.

A guastarmi quel poco di dolce che anche questa vittoria porta con sé c’è infatti, purtroppo, la settimana appena trascorsa. Settimana che avevamo cominciato con la ragionevole aspettativa di risalire almeno di un piano, con la riduzione – richiesta al Coni – della pesante penalizzazione che affligge la nostra classifica. E che s’è invece chiusa – oltre che con il rigetto del ricorso – con l’annuncio di un nuovo deferimento: stavolta per ritardi amministrativi relativi agli stipendi della scorsa primavera, e direttamente imputabili a Pablo Cosentino.

E insomma: anche a me, che non sono proprio un vittimista, non mancano i motivi per arrabbiarmi. La giustizia sportiva è stata severa con chi ha confessato di aver comprato le partite; ma non ha ancora fatto nulla contro chi le ha vendute. Inoltre, chi ha confessato di aver imbrogliato – e quindi di aver tradito la bella storia sportiva del Catania – è ancora ai vertici della società. Infine, ci avevano detto che il vaso di Pandora delle penalizzazioni era ormai vuoto. E invece, a sorpresa, ce ne hanno appena annunciata un’altra; tenue quanto volete – si parlerà di uno, due punti – ma non prevista. E questo, oltre a farmi arrabbiare, mi inquieta. Mi inquieta perché, stavolta, non c’è di mezzo lo scandalo dei treni del gol. Né mi sembra che si possa giustificare tutto con gli strascichi che l’inchiesta ha lasciato sugli assetti societari: qui si parla di inadempienze su documenti da presentare a giugno, ma relativi, al più tardi, agli stipendi del mese di aprile. Quando tutti – compreso chi già non si fidava né di Pulvirenti né Cosentino – credevamo che, almeno per l’ordinaria amministrazione, l’azienda stesse facendo puntualmente il suo dovere. Mi inquieta perché la falla che si è aperta è piccola, ma inaspettata. E mi inquieta perché forse, a pensarci bene, dovevamo invece aspettarcela.

Mi è capitato spesso, in questi mesi di Lega Pro, di ripetere che Pulvirenti se ne deve andare: come aveva promesso di fare all’indomani dello scandalo; come il sindaco di Catania aveva chiesto che facesse, intestandosi perfino qualche iniziativa per trovare chi lo sostituisse. Purtroppo, fino a questo momento, la promessa di andarsene di Pulvirenti non si solleva granché sopra il rango della chiacchiera. E l’impegno del sindaco, allo stato dei fatti, mi pare vada derubricato a pura e semplice propaganda. Ma il fatto è che, se continuo qui a ripetere che Pulvirenti se ne deve andare, non è solo per l’evidente inadeguatezza etica del personaggio. Ma anche per il fatto che siamo di fronte a un imprenditore che ha già alle spalle il fallimento di Wind Jet e, che, per un paio d’anni almeno, ha lasciato impunemente rovinare il Catania a un dirigente – Cosentino – che, in un mondo normale, sarebbe stato licenziato in tronco; siamo di fronte a un imprenditore di cui, francamente, non conosciamo a fondo le reali condizioni economiche. E, perciò, qualsiasi sintomo di salute cagionevole, qualsiasi ulteriore scricchiolio dell’impalcatura aziendale ci fa temere che non sia ancora finita; che nel vaso possano esserci altre magagne che non sono ancora venute fuori; che un giorno ci si presentino di nuovo gli infermieri del calcio a dirci, con una nuova scusa e un sorriso sempre più imbarazzato, che ci toccherà scendere ancora di un piano. Anche se fosse per un semplice colpo di tosse. Anche se si trattasse di un deferimento per un misero punticino di penalizzazione.

Che dire? Forse ai ragazzi non bisognerebbe far leggere Buzzati. Poi finisce che se lo sognano quando sono vecchi, e che si guastano i piccoli piaceri che perfino una vittoria nel cuore della Sabina potrebbe regalare. Spero al contrario, con tutto il cuore, che quella annunciata questa settimana sia l’ultima penalizzazione. E che sia il campo a scrivere, d’ora in poi, un finale diverso.

Ceterum censeo Pulvirentem esse pellendum.


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