Business calcestruzzo, affaristi del Nord condannati in Sicilia

Venivano a fare business in Sicilia. Dal profondo Nord. Dal cuore dell’Italia ‘produttiva’, quella stessa Italia  che si sente sempre in diritto di dare lezioni ai siciliani e che dice peste e corna della nostra Isola. Venivano da Bergamo.  E ‘imbrogliavano’. Fornivano calcestruzzo impoverito per la realizzazione di opere pubbliche. Sono i signori della ‘Calcestruzzi spa’ che oggi sono stati condannati dal Tribunale di Caltanissetta.

 L’ex ad, Mario Colombini è stato condannato a 4 anni di carcere e 6mila euro di multa per frode in pubbliche forniture. L’ex direttore di zona dell’azienda in Sicilia Fausto Volante è stato invece condannato a 6 anni e 10 mesi per frode e illecita concorrenza. Per entrambi Colombini e Volante, è stata esclusa l’aggravante mafiosa. 

Dal  ‘risparmio’ derivante dall’impiego del calcestruzzo  con basse quantità di cemento per la costruzione di opere pubbliche in Sicilia – secondo l’accusa originaria – l’azienda avrebbe ottenuto somme in nero per pagare Cosa Nostra ottenendo in cambio favori. Questo l’elenco delle opere pubbliche in questione.
‘Vogliamo sottolineare – rileva in una nota il collegio di difesa di Colombini – che la sentenza sgombra il campo da qualsiasi ipotesi di rapporto di Colombini e dei vertici della societa’ con associazioni criminali”.

Bene. Il reato resta comunque grave. Il monopolio che questi signori di Bergamo erano riusciti ad ottenere in Sicilia nel campo del calcestruzzo, pure.

Mafia o non mafia, questo è il caso dell’ennesima azienda del Nord che arriva in Sicilia, fa quello che vuole, danni inclusi, e poi porta i soldi, nostri, a casa sua. Non solo in termini di fatturato, ma anche in termini di tributi che va a versare altrove. Una ‘deportazione di risorse siciliane’ a cui cercava di porre rimedio l’articolo 37 dello Statuto siciliano, oggi sulla bocca di tutti, e che il governo regionale di Rosario Crocetta dice di volere fare applicare (ma siamo ancora alla teoria).

Mafia o non mafia, questo è inoltre, l’ennesimo caso che dimostra come non tutte le imprese che arrivano da fuori portano sviluppo. Contrariamente a quanto urla Confindustria Sicilia, che, non sappiamo esattamente nel nome di chi o di cosa, continua a difendere ogni azienda che sbarca sull’Isola,  e che, da sempre,  contesta alla Regione una ‘chiusura’, o peggio, un rifiuto, nei confronti di affari che arrivano da oltre lo Stretto, i fatti parlano di altro.

Forse sarebbe, invece, il caso di dire che certi gruppi industriali, che hanno solo fatto danni, devastando risorse pubbliche e magari anche Ambiente e Salute, è meglio -se non lo hanno già fatto-  che se ne vadano dalla Sicilia. E, che, se di nuovi ne dovessero arrivare, saranno benvenuti, a patto che rispettino la legge e le prerogative dei siciliani.

Cosa che raramente hanno fatto negli ultimi 60 anni. In cui si sono sentiti padroni, in casa altrui.

 

 


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