Bugo: «Con rabbia ed ironia canto un’Italia in crisi»

Niente da fare, c’è sempre una curiosità morbosa attorno a un nuovo disco di Bugo (all’anagrafe Cristian Bugatti). Perché lui è il menestrello strampalato che meglio sa ironizzare su certe psicosi urbane. Perché la spontaneità irrefrenabile delle sue canzoni riserva sempre ottimi spunti per l’ascoltatore.

Prendi il singolo “C’è crisi”, apripista del suo nuovo Lp dal titolo “Contatti2 («… fa pensare a MySpace, a questa voglia di avere per forza degli amici, che poi sono virtuali»). È una “sgrammaticatura” del Bugo nei confronti del vocabolario comune di un Paese, il nostro, sempre così affannato e malconcio. Con “Contatti”, dunque, il musicista di Novara prosegue il suo “sguardo contemporaneo” e confeziona le sue scatole di suoni stracolme di pop, rock, elettronica, rap, funky e sound Anni 80. E soprattutto torna a far parlare di sé per il suo essere cantautore antidivo e politicamente scorretto. Da non perdere quindi il concerto del “Beck italiano” il 30 maggio a Catania, in occasione del Festival delle Radio Universitarie (FRU).

Cristian, bentornato con Contatti, il tuo nuovo album. In copertina, stavolta, non porti più la corona…
«Vero! Con la corona di Sguardo Contemporaneo volevo essere una specie di imperatore di me stesso, non volevo essere provocatorio. Qualcuno mi ha pure detto che volevo prendere per il culo Elvis. Cavolo, sembra sempre che ogni cosa che faccio è per sfottere qualcuno. In realtà non è così».

Questo è un aspetto che non ti ha mai mollato sin dai tempi di Sentimento Westernato (2001). Chi dice che sei un genio, chi dice che sei demenziale…
«Io faccio la mia musica e basta. Quando alcuni dicono che sono un genio è per poter dire “Ehi, io ho scoperto Bugo. Bugo è forte”. Fa parte del gioco, insomma. Quelli che invece dicono che sono un idiota, poi, magari c’hanno pure ragione. La vita va affrontata con la lucidità e la leggerezza dell’ironia. E io nella mia musica ce la metto. Poi non tutti la capiscono, e va bene così, non voglio piacere a tutti. A volte l’ambiguità che metto nella musica è letta con superficialità».

Non certo da parte della Universal che ha creduto in te. Come sei riuscito a convincerli a tenere basso il prezzo del disco anche questa volta?
«Abbiamo fatto un discorso maturo come era successo per gli altri album. Io ho detto “spendiamo poco per fare il disco, così mettiamo il cd a un prezzo interessante, no?”. Poi davvero non sopporto quelli che fanno le rockstar viziate e dicono alla casa discografica “datemi cinquantamila euro per fare un disco”. L’etichetta così lo mette a 22 euro per poi lamentarsi di vendere poco. Mi chiedo, che pretendono?».

“C’è crisi” è il singolo che ha anticipato il disco. Un pezzo “contemporaneo”?
«Beh, una specie. Più che altro è quello che sento dire per strada. Tutti si lamentano “C’è crisi, c’è crisi” e da qui l’idea della canzone, che però finisce con un “fa niente!”».

In “Contatti”, pezzi come “Primitivo”, “Nel giro giusto”, “Le buone maniere” suggeriscono un’italianità spesso caricaturale. Mai nessuno però t’ha chiesto di cantare in inglese?
«Non canto in inglese perché sono italiano. Cavolo, Bob Dylan non ha ma scritto in italiano, in francese o in spagnolo. Molti ragazzi scrivono rock in inglese, quelli sono “passeggeri del rock” perché prendono un aereo, ma poi scendono subito. Io senza la mia lingua non potrei mai scrivere parole d’amore alla mia ragazza, esprimere sentimenti di rabbia o piccole parabole comiche. Poi la mia musica non è commerciale, oltre al fatto che l’inglese lo pronuncio malissimo».

Novarese di nascita, sei ormai una specie di istituzione a Milano. Qual è il tuo rapporto con la città degli aperitivi e del “giro giusto”?
«Non la odio, non la amo, a volte mi piace, a volte no, c’è gente frenetica, c’è la zona dei Navigli che è culturalmente avanti… alle volte mi stanno sulle palle i milanesi. Però ci vivo da tempo ormai, e quindi mi ci adatto».

Ti chiamano ancora “Il Beck delle risaie”?
«Nel 2003, quando ho aperto il concerto degli Zwan a Milano, Billy Corgan m’ha detto “hai un’energia molto bella, però non è vero che sei il Beck italiano. Fai cose diverse”».

Salirai sul palco del FRU il 30 maggio a Catania. Ti ricordi quello che hai combinato la prima volta che hai suonato qui?
«Sì, cavolo, ero ai Mercati Generali e mi sono spaccato un occhio con la chitarra! Sono tornato sul palco col sangue che mi colava in faccia».


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