Boss Bevilacqua avvertì: «I potenti sanno che io so» Dal salotto della figlia ordine di uccidere ex sindaco

«Io so, loro sanno, e io e loro sappiamo». Parole eloquenti, strabordanti di allusioni e significati. Sono quelle scelte, a fine giugno del 2018, da Raffaele Bevilacqua per ripresentarsi sulla scena criminale siciliana. Il capomafia di Barrafranca da poco più di un mese aveva lasciato il carcere per passare ai domiciliari, per via di un quadro clinico condizionato da patologie non molto chiare. Ma sufficienti a fargli sognare la possibilità di scontare l’ergastolo tra le mura domestiche. Quel giorno Bevilacqua riunisce la famiglia attorno a sé e fa un discorso. Uno di quelli in cui si fa il punto sulla propria vita.

«Sono creditore di tanti potenti»
Il paragone non è forzato. D’altra parte, da lì a poco, il boss – arrestato mercoledì insieme ai tre figli e un’altra quarantina di persone – avrebbe compiuto 69 anni. Bevilacqua si rivolge ai familiari, mentre si trova a casa della figlia Maria Concetta, avvocata del foro di Enna ma attiva in un importante studio catanese. La donna, che è stata arrestata, è ritenuta dagli inquirenti partecipe delle logiche mafiose del padre. «Vi giuro che dovrò recuperare il tempo perduto, onde ridare a voi tutti quello a cui aspirate – dice Bevilacqua senza pensare di essere intercettato dal momento in cui ha messo piede nella palazzina del capoluogo etneo – Sappiate che dal pozzo della mia memoria trarrò ciò che mi abbisogna per realizzare i vostri desideri lavorativi e di sana crescita affettiva». L’impegno del capomafia trova forza nella consapevolezza di potere tenere in pugno, anche dopo 15 anni di carcerazione ininterrotta, tante persone. «Sappiate che io sono creditore morale e reale di quei tanti potenti che reggono la provincia – continua Bevilacqua – Io so, loro sanno, e io e loro sappiamo. Il mio silenzio è stato benefico per costoro».

I legami con Salvo Lima e Cosa nostra
Quella di Raffaele Bevilacqua è senz’altro una storia complessa. L’uomo, infatti, ha rappresentato a cavallo tra anni Settanta, Ottanta e Novanta uno dei volti più in vista della Democrazia Cristiana nella provincia di Enna. Vicinissimo a Salvo Lima, l’ex sindaco di Palermo ed europarlamentare ucciso nel ’92 per volere di Totò Riina, che non gli perdònò il non essere riuscito a cambiare destino al maxiprocesso, nel ’91 Bevilacqua, già consigliere provinciale, tentò la corsa a onorevole regionale. Una candidatura che destò qualche riflessione anche nella Dc di quei tempi, per via dell’eccessiva vicinanza ai mafiosi. Secondo Angelo Siino, il ministro degli appalti di Cosa nostra, Lima mise in mano a Bevilacqua cento milioni di lire in vista delle elezioni. Le cronache del tempo immortalarono il comizio che si tenne il 14 giugno 1991 a Barrafranca: sul palco oltre a Bevilacqua, già ritenuto al vertice della famiglia locale, c’erano Liborio Miccichè, capo della famiglia di Pietraperzia dove era stato anche assessore, e Salvatore Saitta, all’epoca rappresentante provinciale di Cosa nostra a Enna. 

Nonostante lo spessore criminale mostrato sin dagli albori, in una prima fase per Bevilacqua la carriera politica è stata più facile di quella all’interno di Cosa nostra. Qui, infatti, il boss trovò più concorrenza. Il territorio di Barrafranca è stato storicamente diviso tra fazioni avverse, con posizioni differenti nei confronti dell’egemonia palermitana. Bevilacqua, dal canto suo, ha scelto di stare vicino a Piddu Madonia e, di conseguenza, ai corleonesi. Sul fronte orientale, invece, il capomafia vanta l’amicizia di Ciccio La Rocca, il capo della famiglia di Caltagirone scarcerato nei mesi scorsi per l’emergenza Covid-19. Bevilacqua è stato arrestato per la prima volta per mafia nel 1992, nell’opeazione Leopardo, mentre poco più di dieci anni dopo finisce in carcere senza più uscirne con l’accusa di essere uno dei mandanti dell’omicidio di Mimmo Calcagno. Ucciso con il beneplacito e il sostegno degli uomini di La Rocca, l’uomo pagò caro le ingerenze mostrate nella gestione delle messe a posto delle ditte che stavano lavorando sulla Nord-Sud

Il ritorno in campo: fra tradizione e tecnologia
Lasciare la cella e ritornare in città, per Bevilacqua è stata un’esperienza nuova ma da affrontare con le regole della tradizione. A chi gli fa notare come all’epoca di internet sia facile comunicare con tutto il mondo, Bevilacqua ricorda di essere abituato a usare carta e penna. Potendo peraltro fare affidamento sui figli Alberto e Maria Concetta – il primogenito Giuseppe, anche lui arrestato, vive a Wolfsburg, in Germania – per consegnare i pizzini. Ai messaggi scritti, Bevilacqua ha però affiancato anche gli incontri faccia a faccia. Tra quelli monitorati dai militari del Ros ce ne sono due emblematici. Il primo si svolge il 15 giugno 2018 e dura appena quattro minuti. Tempo sufficiente per convincere Salvatore Privitelli, ritenuto l’interfaccia della famiglia mafiosa di Barrafranca con quella di Pietraperzia, a desistere dal proposito di uccidere Giuseppe Saitta e vendicarsi così dell’attentato subito 17 anni prima. 

A gennaio del 2019, invece, a varcare la soglia di casa Bevilacqua è l’ottantenne Alessandro Salvaggio. Un incontro atteso da entrambi da lungo tempo e che inizia con il baciamani di Salvaggio, presentatosi con occhiali da sole, berretto con visiera e sciarpa. I due parlano un po’ di tutto: dalla necessità di ricavare il massimo dall’appalto per la raccolta dei rifiuti alle intimidazioni da fare a Barrafranca e dintorni, con un’attenzione particolare al gruppo Arena, in piena espansione nella grande distribuzione e presso cui Bevilacqua avrebbe voluto trovare lavoro ai propri figli. Il capomafia fa anche un’altra richiesta a Salvaggio: organizzare l’omicidio dell’ex sindaco di Barrafranca Totò Marchì. Soprannominato Icaro per la tendenza a volare troppo in alto, Marchì per Bevilacqua avrebbe dovuto pagare l’irriconoscenza e la decisione di prendere pubblicamente posizioni contro la mafia. «Tòtò, non vorrei che a furia di volare in alto ti si brucino le ali e cadi a terra», racconta di avergli detto in passato Bevilacqua. L’assassinio, tuttavia, doveva essere pianificato per la tarda primavera. «Devi aspettare maggio o giugno», raccomanda il boss a Salvaggio. Il motivo della richiesta, per gli inquirenti, è chiaro: evitare che il delitto possa complicare il rinnovo dei domiciliari. 

Il canale calabrese per la droga
Tra i piani di Bevilacqua ci sarebbe stato anche quello di attivare un business nel mondo degli stupefacenti grazie a un’amicizia eccellente stretta nel carcere di Rebibbia. A fornire la droga sarebbe potuto essere uno degli Strangio, nota famiglia ‘ndranghetista di San Luca. Bevilacqua lo rivela a Salvaggio, spiegando che a fare da tramite poteva essere la figlia Maria Concetta. «Mia figlia difende il marito di questa signora, l’ho conosciuto in galera», racconta. L’ipotesi, però, si raffredda in seguito alle numerose operazioni compiute contro le ‘ndrine e al conseguente timore di Bevilacqua di esporre sé e la figlia.

Le difficoltà della vita quotidiana e la scoperta dell’indagine
Temuto e rispettato da sodali e nemici, per Bevilacqua le critiche non sono comunque mancate. A redarguirlo in più di un’occasione sono state sia la figlia che la moglie. Se dalla prima l’accusa ricevuta più spesso è stata relativa alla poca prudenza mostrata in alcuni casi, i rimbrotti della coniuge sono stati legati agli introiti garantiti alla famiglia dalle attività illecite. Entrate ritenute troppo basse. «Questi lo sai a che cosa servono? Per la carta igienica!», urla la donna non soddisfatta della modalità in cui stava avvenendo la spartizione dei soldi di un’estorsione. Per tutti le cose si complicano però seriamente il 30 marzo dello scorso anno. Quella sera la figlia avvocata viene a sapere di un’indagine a carico del boss, con il serio rischio che a essere coinvolti siano anche gli altri componenti. Sono momenti di agitazione. A casa Bevilacqua si inizia a pensare a una via d’uscita. Spiegazioni a ciò che gli investigatori potrebbero avere ascoltato o visto. Non mancano le ipotesi stravaganti, come quella secondo cui si sarebbe potuto far passare Raffaele Bevilacqua come un soggetto dallo stato psichico alterato. In preda ai deliri. I figli, invece, pensano di presentarsi davanti ai carabinieri per raccontare fatti riguardanti «alcuni giovani di Barrafranca». Nel tentativo di mostrarsi interessati a collaborare con la giustizia per risolvere i problemi del paese. Problemi che, va da sé, non avrebbero avuto nulla a che fare con la famiglia. 


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