Borghezio, Monti governa per conto del gruppo Bilderberg?

Affezionati lettori ci chiedono di riposizionare nella homepage un articolo sul gruppo Bilderberg pubblicato nei giorni scorsi. Accontentati.  Lo trovate in calce a  questa nota della redazione.

La richiesta arriva dopo la pubblicazione della lettera dell’eurodeputato della Lega Nord, Mario Borghezio, a Mario Monti.

Nella missiva, il leghista  si chiede se il professore stia governano nel nome dell’Italia o nel nome del citato gruppo di poteri forti:”Se alla cena e al summit segreto del Bilderberg a Roma interviene il Premier Monti e/o qualcuno dei suoi ministri, abbiamo il diritto di sapere! Se vi partecipano direttori di giornali, importanti anchorman, manager pubblici che influenzano la politica, l’economia e la finanza, abbiamo diritto di sapere! Se i temi in oggetto della riunione segreta a Roma riguardano, direttamente o indirettamente, il nostro Paese, abbiamo diritto di sapere! … Lei è Presidente del Governo italiano in nome e per conto del Bilderberg?

Domande del tutto condivisibili. Ma vediamo qui sotto di cosa si occupa esattamente questa congregazione, nell’articolo di C.Alessandro Maugeri.

Storia e misteri del gruppo di Bilderberg (pubblicato il 19 novembre 2012)

Bilderberg/  «Una congrega dei più ricchi, dei più economicamente e politicamente potenti e influenti uomini nel mondo occidentale, che si incontrano segretamente per pianificare eventi che poi sembrano accadere per caso»

 

Mario Monti membro del Bilderberg? Magari fosse solo questo. Non solo in Italia, ma nel mondo, esistono vari tipi e vari livelli di Massoneria. Col tempo, la Massoneria ha cambiato faccia e ruolo, a seconda del livello, della portata e dell’importanza della stessa. Ed anche, a seconda fa dei poteri, più o meno forti.

Facciamo un piccolo passo indietro. Il 4 aprile 2003 l’eurodeputato Patricia McKenna depositò un’interrogazione parlamentare in cui chiedeva chiarimenti in merito alle partecipazioni di Mario Monti, allora commissario UE alla competitività, di Romano Prodi, allora Presidente della Commissione Europea, e alcuni altri membri della Commissione, alle conferenze del gruppo Bilderberg e della Commissione Trilaterale.

Il 15 maggio Romano Prodi, allora Presidente della Commissione stessa, rispose così: “Numerosi membri della Commissione sono stati invitati e hanno partecipato alle riunioni del gruppo Bilderberg, alcuni durante il loro mandato alla Commissione, altri sono stati invitati e hanno partecipato prima di essere membri della Commissione e non hanno più partecipato durante il loro mandato”. Nello stesso istante, però, preannunciava la partecipazione di tre Commissari, M. Monti, F. Bolkestein e P. Lamy, alla riunione del gruppo Bilderberg dal 16 al 18 maggio 2003 a Versailles.

In merito alla Commissione Trilaterale, Prodi affermò che nello statuto di quell’ente vigeva il divieto per i membri di esercitare una funzione pubblica.

Ma perché un simile evento aveva dovuto richiedere addirittura una formale richiesta di chiarimenti al presidente della Commissione Europea? E proprio per tanto insigni luminari? A dire il vero già sotto la presidenza Santer il commissario Monti, aveva dovuto dimettersi, insieme con tutti gli altri membri della Commissione Europea a seguito delle accuse di cattiva gestione, distrazione di fondi e atti di nepotismo emersi da un rapporto della House of Commons del Parlamento Inglese.

Forse proprio per questo motivo che Prodi, che nel 1999 molti media descrissero come il primo “Primo Ministro Europeo” della storia, dichiarò implicitamente l’inopportunità per un pubblico funzionario di ricoprire cariche significative nella Commissione Bilderberg o nella Commissione Trilaterale, puntualizzando che a nessuno dei suoi commissari poteva ascriversi questa sovrapposizione di interessi. Non poteva sapere che un membro della sua assemblea, il professor Mario Monti, di li a poco gli sarebbe succeduto nel ruolo di Presidente del Consiglio della terza economia europea, contravvenendo a entrambe le condizioni oggetto delle sue rassicurazioni, anzi aggravandole.

La partecipazione di Mario Monti agli incontri della Bilderberg non può certo essere definita occasionale se, come riportato dallo stesso sito della Bilderberg, ha presenziato ad almeno due degli ultimi tre meeting (oltre ad essere stato membro del Comitato Direttivo (http://www.bilderbergmeetings.org/former-steering-committee-members.html). E se è vero come è vero che l’ultima riunione straordinaria si è svolta a Roma il 13 novembre scorso, al Campidoglio, con la partecipazione, tra gli altri, del Presidente Monti e del ministro Fornero e di Ignazio Visco, governatore della Banca Centrale (fonte Wall Street Italia e il Giornale).

In realtà, da molti anni, esistono sospetti sulla funzione e legittimità di certi enti e sul fatto che pubblici funzionari ne facciano parte. William Vincent Shannon, che non è certo un paranoico complottista, ma un prestigioso giornalista redattore del New York Times e ambasciatore degli Stati Uniti in Irlanda durante la Presidenza Carter (1977-1981) riteneva che “i membri del Bilderberg stanno costruendo l’era del post-nazionalismo: quando non avremo più Paesi, ma piuttosto regioni della terra circondate da valori universali”. Allo stesso modo il giornale londinese The Times, nel 1977 descrisse i membri del Bilderberg Group come «una congrega dei più ricchi, dei più economicamente e politicamente potenti e influenti uomini nel mondo occidentale, che si incontrano segretamente per pianificare eventi che poi sembrano accadere per caso». Da molti anni a questa parte i presidenti degli Stati Uniti sono stati – tutti – membri del Bilderberg.

Beh, ma perché la partecipazione a questi incontri dovrebbe essere un problema per dei personaggi politici o per un tecnico incaricato della gestione della cosa comune? Semplicemente perché, come riportato sullo stesso sito della Bilderberg, gli incontri nascono dalle preoccupazioni espresse dai cittadini più importanti in Europa occidentale nel Nord America “che lavorano insieme … come dovrebbero sui problemi comuni di importanza critica”. Ovvero, in altri termini, scopo della Bilderberg sarebbe far incontrare gruppi appositamente selezionati (la partecipazione avviene dietro invito) di politici e imprenditori per decidere come gestire la cosa comune, alla faccia della sovranità dei singoli Stati di cui fanno parte e nei quali rivestono spesso ruoli di primo piano, e di tutte le organizzazioni internazionali riconosciute e al di fuori di processi elettorali e selettivi democratici (altro che primarie!).

La volontà di creare strutture (anche perché cosa siano giuridicamente alcuni di questi soggetti è difficile dirlo) in grado di scavalcare, dietro la parvenza di aiuto alla crescita e di sostegno nei momenti difficili la gestione democratica della cosa comune, è ancora più evidente nel caso della Commissione Trilaterale nel cui scopo sociale si legge: “A un livello più profondo, c’è la comprensione che gli Stati Uniti non rivestono più una posizione di leadership singolare come lo erano stati negli anni precedenti post-guerra mondiale, e che una forma più comune di leadership, insieme con l’Europa e il Giappone, in particolare, sarebbe necessaria per il sistema internazionale per navigare con successo le grandi sfide dei prossimi anni”.

Come visto prima, anche nel novero dei membri di questa organizzazione non poteva mancare Mario Monti (che ne ha ricoperto la carica di Presidente per l’Europa fino alle dimissioni del 2012, dopo aver ricevuto il mandato di capo del governo nel novembre 2011) cui fanno compagnia soci come John Elkann (presidente di Fiat spa), Pier Francesco Guarguaglini (ex-presidente di Finmeccanica), Enrico Letta (politico italiano e attuale vicesegretario del Partito Democratico), Carlo Pesenti (consigliere delegato di Italcementi), Luigi Ramponi (politico del Popolo della Libertà), Gianfelice Rocca, presidente del Gruppo Techint, Carlo Secchi (economista e politico italiano), Maurizio Sella (presidente del gruppo Banca Sella), Ferdinando Salleo (Ambasciatore Italiano negli stati uniti), Marco Tronchetti Provera (imprenditore e dirigente d’azienda italiano), Enrico Tomaso Cucchiani (amministratore delegato di Intesa Sanpaolo), Marcello Sala (vice presidente del consiglio di amministrazione di Intesa Sanpaolo), Marta Dassù (sottosegretario di Stato del Ministero degli Affari Esteri del Governo Monti), Giuseppe Recchi (presidente di ENI), Stefano Silvestri (presidente dell’Istituto Affari Internazionali dal 2001 e giornalista de Il sole 24 ore oltre che sottosegretario di stato alla difesa), Franco Venturini (giornalista del Corriere della Sera), Federica Guidi (imprenditrice italiana), Paolo Andrea Colombo (imprenditore italiano e attuale presidente dell’Enel).

Sembra confermata ancora una volta la saggia conclusione di Sir Denis Winston Healey, ex Ministro britannico della Difesa (1964-1970) e delle Finanze (1974-1979): «Quel che accade nel mondo non avviene per caso; si tratta di eventi fatti succedere, sia che abbiano a che fare con questioni nazionali o commerciali, e la maggioranza di questi eventi sono inscenati da quelli che maneggiano la finanza».

Alla luce di tutto ciò, appare ben diversa l’affermazione di Mario Draghi, durante l’audizione al Parlamento Europeo del 16 gennaio secondo il quale “se i Paesi sono disposti a cedere parte della sovranità nazionale verso ciò che o un’unione fiscale, allora questo è un inizio della fiducia, e se vi è la fiducia poi gli altri passi seguiranno, da parte degli stessi Paesi”.

Sulla base di quello che sta avvenendo negli ultimi anni, torna alla mente, a proposito della Commissione Trilaterale, l’affermazione del professor Piergiorgio Odifreddi che la definisce «una specie di massoneria ultraliberista statunitense, europea e nipponica ispirata da David Rockefeller e Henry Kissinger». Forse sembrerà una esagerazione, ma neanche tanto se si pensa che nel 1979 l’ex governatore repubblicano Barry Goldwater la descriveva come «un abile e coordinato sforzo per prendere il controllo e consolidare i quattro centri di potere: politico, monetario, intellettuale ed ecclesiastico grazie alla creazione di una potenza economica mondiale superiore ai governi politici degli Stati coinvolti».

Lo scrittore francese Jacques Bordiot, sosteneva che, per far parte della Commissione Trilaterale, era necessario che i candidati fossero «giudicati in grado di comprendere il grande disegno mondiale dell’organizzazione e di lavorare utilmente alla sua realizzazione», e precisava che il vero obiettivo della Trilaterale fosse quello «di esercitare una pressione politica concertata sui governi delle nazioni industrializzate, per portarle a sottomettersi alla loro strategia globale».

Sembra di parlare del Grande Fratello di orwelliana memoria, solo che non si tratta di fantascienza, ma di realtà.

Che un certo numero di grandi industrie da molti anni ormai facciano ogni sforzo per controllare il mondo, è evidente. Ciò che desta (o dovrebbe destare) stupore è che un politico o un tecnico incaricato della gestione di un Paese sia parte integrante dei questi gruppi. Il problema, non solo relativo al premier Monti, ma, come visto prima, a molti altri personaggi di primissimo piano della vita politica del nostro Paese è che nessuno ne prenda atto o faccia qualcosa per impedirlo.

Un altro esempio. Mario Monti fa parte del comitato esecutivo dell’Aspen Institute, la cui missione (per loro stessa affermazione http://www.aspeninstitute.it/istituto/identita-e-missione) è l’internazionalizzazione della leadership imprenditoriale, politica e culturale del Paese attraverso un libero confronto tra idee e provenienze diverse per identificare e promuovere valori, lui come conoscenze e interessi comuni” privilegiando “il confronto ed il dibattito “a porte chiuse”. E a fargli compagnia troviamo (come riportato sul loro stesso sito web) molti personaggi “illustri” da Luigi Abete a Giuliano Amato, da Lucia Annunziata a Fedele Confalonieri, da Gianni De Michelis a Umberto Eco, da John Elkann a Franco Frattini, da Enrico e Gianni Letta a Emma Marcegaglia, da Romano Prodi a Cesare Romiti, da Carlo Scognamiglio a Giulio Tremonti e Giuliano Urbani.

Ma non basta. A completare il mosaico si deve aggiungere un altro tassello. Queste “associazioni”, che alcuni hanno definito di stampo massonico (sarà una forzatura, ma…) e le lobby dell’alta finanza, ovvero le grosse banche d’affari, sono legate a doppio filo, in quanto gli uomini che ne fanno parte sono gli stessi: i dirigenti di punta delle lobby dell’alta finanza e i loro uomini di fiducia (e Monti è uno di questi) sono tutti membri e spesso rivestono incarichi dirigenziali nelle associazioni, nel cui ambito interagiscono con i politici più importanti, e quindi i governi del mondo.

Monti stesso ha ricoperto importanti incarichi (è stato advisor) per Goldman Sachs, definita “il miglior posto per produrre denaro che il capitalismo globale sia mai riuscito a immaginare” con una capacità d’investimento di 12.000 miliardi di dollari all’anno e un valore di oltre un trilione, ovvero un miliardo di miliardi ($1.000.000.000.000.000.000) di dollari. È ritenuta responsabile di aver mandato sul lastrico svariate – se non migliaia – in diverse parti del mondo, in particolare nei Paesi più poveri che più si prestano alle speculazioni.

A banche d’affari come Morgan Stanley, dove Monti non riveste alcun incarico (ma dove, casualmente, lavora suo figlio) il Ministero del Tesoro italiano a gennaio 2012 ha elargito 2 miliardi e 567 milioni di euro per cui né Morgan Stanley, né il Tesoro hanno voluto spiegare a ‘l’Espresso’ il senso dell’operazione. E se è vero che Morgan e Stanley vantava un credito nei confronti dello Stato italiano, è pur vero che, dopo un certo numero di anni, una delle due parti dovrebbe chiedere la chiusura della posizione (a volte sono previsti dei “termination event”, ovvero fatti che possono innescare la soluzione del contratto: per esempio il downgrade dell’Italia da parte di Standard & Poor’s).

Secondo uno studio condotto dai ricercatori del Politecnico di Zurigo, l’economia globale è sostanzialmente controllata, grazie ad una intricata rete di connessioni che includono il fenomeno delle revolving doors (porte girevoli, ovvero cambi di ruolo), da 147 multinazionali. Per contenere le conseguenze della concentrazione del potere ci vogliono nuove istituzioni sovranazionali, come ha recentemente confermato in un’intervista, l’economista Mauro Baranzini.

Le maggiori banche d’affari (un’altra è la JP Morgan), vere e proprie lobby dell’alta finanza, sono proprietarie/azioniste legate a doppio filo con queste multinazionali che controllano, condizionano e gestiscono a loro uso e consumo l’economia globale: hanno il controllo di mezzi d’informazione autorevoli, mediante i quali “costruiscono” l’immagine dei politici che i cittadini di tutto il mondo eleggeranno. Basti pensare che queste tre megabanche hanno speso per sostenere i due candidati alle ultime elezioni americane poco meno di un miliardo di dollari ciascuna (fonte: Il Sole 24 Ore).

La tesi di uno dei maggiori esperti del settore, il Professor Baranzini, è che questa concentrazione è pericolosa perché “ci pone alla mercé di pochi individui. Attraverso le lobby nei parlamenti e l’influenza diretta sui reggenti, queste persone possono esercitare un potere sul mondo politico e quindi sui processi democratici”. E ancora: “La finanza ha preso il sopravvento, staccandosi dalla produzione reale, ovvero da chi effettivamente crea reddito e ricchezza. Cioè l’agricoltura, l’industria e i servizi più importanti”.

Alla luce di tutto ciò sarebbe opportuno forse che tutte le forze politiche chiedano al Presidente del Consiglio e a tutti i delegati di chiarire una volta per tutte quali sono i loro rapporti con tutte le organizzazioni private che si propongono di perseguire interessi istituzionalmente poco chiari e, per di più,m per loro stessa ammissione segreti, o quantomeno dubbi, perché non frutto di dibattito aperto, e che rendano pubbliche le loro irrevocabili dimissioni da questi enti, che sono in conflitto con gli interessi nazionali che loro stessi dovrebbero rappresentare e ai quali hanno prestato giuramento e che propongono di sovrapporsi e di sostituire gli enti demandati al dialogo pubblico a partire dall’Unione Europea e così via discorrendo.

E se ciò non dovesse avvenire? Allora sarà bene che tutti prendano atto che alcuni di loro hanno deciso cambiare la definizione della “cosa comune” di tutti e stanno operando in modo tale da rendere il termine “democrazAllora, sarebbe opportuno, quantomeno per ragioni di onestà intellettuale, rivedere le nostre convinzioni al riguardo e quello che insegniamo ai nostri figli, perché già oggi, di fatto forse non viviamo più in uno stato democratico, ma in una vera e propria oligarchia.ia” non più appropriato per descrivere la nostra forma di governo.

 

 

 

 

 

 


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