Berlino-Parigi, andata senza ritorno

Il cielo è grigio su Parigi, il vento insegue le nuvole e le spinge più in là, verso nord. Si risveglia Parigi, un’altra giornata che sembra una qualunque, d’inverno. Fra qualche giorno è Natale. Stesso via vai di gente, sempre di fretta, tranne qualcuno, qualche artista di strada, o qualche turista, intento a immortalare la “miss”. Grigiore apparente, la città è bella anche così! Qualcuno è d’accordo con me. Isabelle, che mi fa da guida, mentre passeggiamo per “Quai de Bercy”. Non parla il tedesco ed io parlo poco il francese, così ci capiamo in inglese. A volte mi diverte terminare la frase con un “alesi madamoiselle”, quando la invito ad entrare prima di me, o con un “merci beaucoup”, quando voglio ringraziarla per qualcosa. Mi piace molto la sua compagnia, ma non mi trovo qui per fare nuove conquiste, devo trovare al più presto Karl. La Bundeskriminalamt di Potsdam e quella di Berlino non mi perdonerebbero mai.
 
– “Anche oggi nebbia. Ormai da due giorni non si riesce quasi a vedere la Senna.”
– “Già, commissario, ma a Parigi in inverno è così. A Berlino, dove viveva lei, non c’è la nebbia?”
– “Si, qualche volta!”
– “Comunque a me piace la nebbia, crea un’atmosfera particolare e fa quasi parte di questa città. Io almeno la penso così.”
– “Pensa invece che ancora la giornata è lunga e che c’è un pazzo che da una settimana si infiltra al museo del Louvre e spaventa i visitatori.”
– “Già, commissario. Lo hanno sentito gridare la notte di domenica scorsa. I custodi hanno riferito che diceva che i quadri di Anselm Kiefer esposti al Louvre non sono quelli originali. Forse è un esperto di dipinti?”
– “Non lo so Blitz, comunque lo scopriremo presto.”
 
Dresher e Blitz camminavano per gli Champs-Elysées, in direzione del museo. La strada era lunga, il vento gelido di Parigi smuoveva il lungo impermeabile del commissario, che nel frattempo si teneva il cappello con la mano sinistra, per paura di perderlo. Blitz invece con le mani in tasca, si guardava in giro, ammirava lo splendore della città, poi guardava in basso e pensava chissà a cosa. Ma a cosa può pensare un robot? Gli avevano impiantato nella memoria un chip supplementare di ultima generazione, quello che permetteva a tutti gli automi di avere dei pensieri propri e di potersi esprimere con più scioltezza, quasi fossero dei veri esseri umani. Ma il microprocessore non dava garanzie sul pieno funzionamento di queste facoltà. A Blitz, tra l’altro, era già stata cancellata la memoria una volta, quando riuscì a salvare una donna e quando fu terminato per la sparatoria che ne seguì. Fu completamente ricostruito e la sua memoria cancellata.
 
– “Blitz, come mai ti chiamano così?”
– “In realtà non so risponderle. Mi hanno sempre chiamato così!”
– “Ah capisco.”
– “Lei invece, commissario, come mai ha scelto me? O meglio, un compagno come me per condurre le sue indagini?”
– “Mi fido di te! E… e poi preferisco così.”
 

 
– “Hai sentito Alexandra? Tuo marito si fida di me!”
– “È vero Witkiewicz! Me lo ha sempre detto. Dovresti prenderlo come un complimento! Di solito Karl preferisce lavorare da solo, ma da quando sta con te è come se le sue preoccupazioni si fossero dimezzate! Almeno nel lavoro!”
– “Dai… Alexandra non parlare così, altrimenti Witkiewicz potrebbe vantarsi troppo con gli altri colleghi!”
 
Scoppiarono tutti a ridere, dopo che Karl pronunciò quelle parole. Quella sera della vigilia di Natale il giovane Witkiewicz era stato invitato a cena dai Dresher. Era solo lì a Berlino, i suoi genitori vivevano a Potsdam.
 
– “Ora mangiamo altrimenti si fredda la cena!”
 
Non avevano cominciato a cenare che la rice di Witkiewicz suonò. C’era stata una soffiata. Una banda di spacciatori che aveva agganci in molte parti dell’Europa e che da tempo stavano inseguendo si nascondeva in un vecchio capannone di Hellersdorf. Alcuni di loro si trovavano nell’edificio in quel momento.
 
– “Mi sa che dovrò rinunciare a questa deliziosa cenetta!”
– “Come mai hanno chiamato te?”
– “Forse la tua rice non funziona!”
– “Vengo con te!”
– “No Karl, è la vigilia di Natale! Trascorrila serenamente con la tua famiglia!”
Avvicinandosi a Witkiewicz, Karl bisbigliò: “Potrebbe essere molto pericoloso!”
 
Alexandra osservò lo strano comportamento di Karl ma non disse nulla.
 
– “Tesoro devo andare, ma torniamo presto!”
 
Salutò i bambini e la moglie e si diresse verso l’ingresso. Witkiewicz lo aspettava già sull’uscio, con l’ombrello in mano. La pioggia battente faceva la sua parte. Le strade erano inondate di acqua, ma l’auto sfrecciava per le vie di Berlino, per il poco tempo che era rimasto. Quando arrivarono era tutto buio.
 
– “Cosa diavolo è successo qui?”
– “Forse è tutto finito! Hai chiamato la centrale?”
– “No. Non c’era bisogno. Ci hanno dato appuntamento qui.”
– “Con chi hai parlato?”
– “Con Schwartzer.”
– “Sarà meglio chiamare la centrale operativa. – Dresher a centrale, rispondete! Commissario Dresher a centrale rispondete! – Questa rice non funziona! Non importa, cominciamo a perquisire l’edificio.”
– “Ok Karl, io salgo le scale, tu vai al piano di sotto.”
– “Ricorda che sono io quello che dà gli ordini!”
– “Quindi cosa devo fare?”
– “Tu sali le scale ed io andrò al piano di sotto.”
– “Va bene.”
 
– “Qui non c’è nessuno! Ma cosa… ahhhhh!”
 
– “È in condizioni disperate… ”
 

 
– “A cosa sta pensando commissario? La vedo molto assorto nei suoi pensieri!”
– “Penso che forse dovevamo prendere la macchina!”
– “Eh già, ma poi la lasciamo sempre in mezzo alla strada e si blocca il traffico.”
– “L’ultima volta ho preso una lavata di capo da parte di Dumont per questo!”
– “Ahi ahi! Meglio andare a piedi che prendersi le sfuriate di quel tipo! Comunque ci sono già altre due pattuglie sul posto. Almeno potremo ritornare in auto!”
 
Dresher guardò il suo collega e fece un mezzo sorriso di intesa. In fondo sentiva che più tempo trascorreva con lui e più si trovava bene. Infine arrivarono nei pressi del Louvre, costeggiandolo dalla Rue de Rivoli. Nonostante non fosse la prima volta che la vedeva, Blitz restò ammaliato dalla bellezza della piazza, tanto che fu richiamato dal suo compagno di lavoro.
 
– “Entriamo Blitz, entriamo dalla Pyramide.”
 
Li seguivo ormai da due giorni, sempre in compagnia di Isabelle. Mi ha trovato un monolocale “studio” sulla “Avenue de Saxe” nel settimo Arrondissement. Quando mi affaccio dal balcone e quando esco di casa posso vedere la “miss”. Ho scoperto che Isabelle è siriana e che vive a Parigi da circa dieci anni. Da cinque lavora per l’agenzia investigativa che è stata contattata direttamente dalla Bundeskriminalamt di Berlino. Potrei perdere la testa per una donna come lei, ma non posso concedermi distrazioni. Non so neanche se sia già impegnata.
Quella mattina ero molto deciso ad andargli dietro, fossero arrivati in capo al mondo.
Avrei riconosciuto l’andatura di Karl anche se ci fossero state altre mille persone vicino a lui. Anche la camminata del suo collega è facilmente riconoscibile. Piuttosto teso e soprattutto non passa inosservato un uomo di quelle proporzioni. Li vidi entrare al museo del Louvre. Aspettai qualche momento e dopo entrai con Isabelle, mostrando il mio tesserino. Entrammo dalla “Pyramide”.
 
Vidi Karl ed il suo collega avvicinarsi alla porta mentre parlavano prima di entrare in azione. Quest’ultimo, quasi immediatamente, fece irruzione nella stanza ed in poco tempo immobilizzò un uomo, che teneva in ostaggio una hostess del museo. Non avevo mai visto un’azione di polizia così rapida ed efficiente. Notai però che Karl non si meravigliò dell’operato del suo collega. Isabelle invece rimase stupefatta.
Li vidi uscire tirando per un braccio l’uomo che avevano appena catturato. Karl mi passò vicino ma non mi notò. Aspettai che passassero anche gli altri poliziotti, dopo uscimmo, sempre dalla “Piramide”. Uno stuolo di gente curiosa osservava cosa stava accadendo. Io ed Isabelle, un po’ in disparte, guardavamo attentamente tutto quello che succedeva. In un momento mi sembrò che tutta la gente presente fosse statica. Non so descrivere bene questa sensazione, ma in mezzo a tutta quella immobilità riuscii a notare una persona fra la folla. Mi sembrava di averla già vista. Si trattava di un maschio bianco, un metro e novanta circa di altezza, con un cappello e degli occhiali da sole scuri. Mi recai immediatamente in mezzo alla folla, cercando un sergente di polizia. Mentre arrivavo Karl ed il suo collega salivano in auto con l’uomo in manette. Questa volta mi notò perché arrivai in fretta e furia. Mostrai il mio tesserino e chiesi al primo sergente che incontrai quale fosse il nome dell’uomo che era stato appena arrestato. Mi risposero Eugène Lefebvre.
Chiesi subito ad Isabelle di cercare dal suo terminale portatile il nome di Eugène Lefebvre nei registri degli indagati. Dopo poco tempo mi disse che aveva dei precedenti per spaccio di droga. Qualcosa mi diceva che dovevo seguire l’auto di Karl. C’era più di una cosa che non mi convinceva. Perché uno spacciatore di droga si fa arrestare così, magari fingendosi pazzo? Troppo facile il suo arresto …e poi, chi avrà dato a Karl questo strano incarico? Non c’era una risposta sicura a queste domande, nel frattempo l’auto di Karl era già partita e non riuscivo più a vedere quel tipo sospetto tra la folla. Avevo un terribile presentimento: che ci fosse un motivo ben preciso per cui la Bundeskriminalamt di Berlino aveva chiesto proprio a me di convincere Karl a tornare a casa? Tanti pensieri mi passarono per la mente in poco tempo. Con Isabelle andammo a prendere la macchina, parcheggiata non lontano dal museo. Con il navigatore satellitare della società investigativa riuscimmo a trovare l’auto di Karl. Isabelle guida bene, anzi è anche un po’ spericolata. Lei conosce  le strade di Parigi e mi ricorda me stesso qualche anno fa. Arrivammo in breve tempo. Solo un’altra auto della Police di Parigi li scortava. D’un tratto una Mercedes nera si avvicinò, mandando fuori strada quella della Police. Restava solo quella di Karl e noi dietro. Me lo sentivo che c’era qualcosa che non andava e temevo per la vita del mio amico! La Mercedes si mise davanti e così furono costretti a fermarsi. Anche Isabelle si fermò, sul lato destro della strada. Non so se ci videro, ma io riuscii a vedere i cinque uomini che scendevano dalla Mercedes. Li avevo riconosciuti tutti. Ora riuscivo ad avere qualche risposta alle mie domande. Cassius Hartmann, Hansi Berger, Dietmar Baumann, Adam Vogt e Hugo Brandt, li conoscevo molto bene. Uscirono dall’auto Karl, il suo collega e Lefebvre, che disse qualcosa a Berger.
 
– “Non pensavo che sarebbe stato così facile catturarla commissario!”
– “Berger! Da quanto tempo non ci vediamo? Cosa ci fai qui a Parigi?”
– “Quello che facevo a Berlino. Solo che lì qualcuno mi aveva messo il bastone fra le ruote! Ora che sono venuto qui vedo che c’è ancora qualche seccatura da dover risolvere! Come una maledizione che mi porto dietro! Ma questa sventura me la toglierò presto!”
– “Mi vuoi eliminare? E cosa risolverai?”
-“Beh, nessuno come lei ci conosce così bene! Credo proprio che se c’è qualcuno al mondo che può catturarci, quello è proprio lei!”
 
Non poté finire di parlare che la banda di spacciatori fu aggredita da un uomo ed una donna ed altri quattro poliziotti, di un’altra volante che era repentinamente arrivata. Piombarono alle loro spalle. Ci fu un momento di caos prima che i due riuscissero ad immobilizzare gli altri, ma nella confusione partì un colpo dalla pistola di Berger. Il primo a cadere in terra fu Blitz, ma dopo qualche secondo anche Dresher stramazzò al suolo.
 
– “Karl rispondimi! Riprenditi! È ferito!”
– “No, no mi sembra ferito! La pallottola ha preso in pieno l’altro uomo! Ho visto che in un attimo si è messo davanti a lui per proteggerlo!”
– “Karl rispondimi! Sono Jozef!”
– “Blitz, dov’è Blitz?”
– “È ferito gravemente!”
– “Jozef? Jozef chi?

Il povero Blitz si era preso la pallottola che sarebbe stata destinata a Dresher. Giaceva in terra senza muoversi. Il colpo aveva preso un punto vitale dei suoi circuiti. Ma si sarebbe salvato. Un robot può essere ricostruito, anche se c’è il rischio che perda per sempre la memoria. Non fu questo il caso di Blitz. Questa volta non fu ricostruito completamente e la sua memoria fu recuperata. Dresher gli sarebbe stato per sempre riconoscente. Nonostante la grande forza e vitalità il commissario di Berlino non poté sopportare di vedere ancora una volta cadere un amico, per questo alla vista di Blitz colpito a morte era svenuto. Ma il destino gli aveva riservato un Natale indimenticabile.
 
Quando mi vide la prima volta al museo Karl non poté riconoscermi a causa del mio volto, un po’ cambiato dopo la lunga operazione e la ricostruzione facciale, per l’aggressione che avevo subito un anno prima.
La sera della vigilia di Natale mi invitò per trascorrere la serata insieme. Vive a Le Bon Marché, in una casa molto bella. Fu invitata anche Isabelle, che accettò con piacere. Con noi anche Blitz. Alexandra aveva preparato una cena deliziosa. Si rideva, si scherzava e si ripensava a momenti piacevoli che avevamo trascorso a Berlino. Qualche volta mi distraevo, per guardare Isabelle, che mi sorrideva, per pensare che il commissario Dresher, discreto e riservato, aveva chiaramente manifestato il suo affetto nei confronti di quel robot chiamato Blitz, che mi sembrava un vero uomo, per pensare che la banda di spacciatori stava finalmente dietro le sbarre ed infine nel riflettere che il destino ci aveva separati e ci aveva riuniti in un luogo lontano da casa, dopo che Karl mi aveva creduto morto ed aveva deciso, dopo appena un mese, di lasciare la città per venire qui, a Parigi. Nessuno lo aveva avvertito di una realtà diversa, diversa per mia fortuna. Seduto in quella tavola imbandita per la festa avvertivo un’atmosfera particolare, che mi mancava ormai da molto tempo. Mi sembrò di poter terminare quella cena che non potemmo completare un anno prima, quella sera a Berlino.
 
Non mi sento più lontano ormai e forse neanche Karl, mi sento a casa.


Diario di Jozef Witkiewicz


25 dicembre 2099


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