Beni a perdere

Catania, seconda città in Sicilia per popolazione, oggi fa i conti con una situazione finanziaria molto difficile.

Nel settembre 2008 un contributo straordinario di 140 milioni di euro del Governo Berlusconi ha salvato il Comune dal dissesto. In realtà i soldi, che non basteranno a colmare un debito quasi miliardario, devono ancora arrivare.
 
Nel frattempo l’Amministrazione paga ai privati più di 2 milioni e 200 mila euro annui per ospitare i propri uffici.
 
Ma in che condizioni versano gli edifici pubblici?
 
Il complesso di via Bernini, ad esempio, è stato acquistato dalla giunta Bianco nel ‘99 per ospitare uffici comunali. Fu acceso un mutuo di circa 8 miliardi di vecchie lire che tuttora i catanesi stanno pagando.

Negli ultimi dieci anni, durante l’amministrazione Scapagnini, il Comune oggi guidato dal sindaco Stancanelli ha tentato senza successo di cedere la struttura al Centro Nazionale di Ricerca

Il complesso, situato in una posizione strategica per la vicinanza alla tangenziale, versa da anni in queste condizioni, persino dopo una pulizia straordinaria richiesta e ottenuta dai consiglieri della seconda municipalità.
 
Giuseppe Arcidiacono, ‘assessore al patrimonio del Comune, promette che via Bernini non sarà venduta ma inserita in un fondo immobiliare: in pratica il comune permette a investitori privati di sfruttare economicamente un immobile pubblico, senza diventare il proprietario.
Di una cosa però l’assessore sembra essere certo: “Il Comune non vende i suoi immobili”.
 

Eppure il 22 aprile il quotidiano cittadino La Sicilia catalogava il complesso di via Bernini, così come il villino di via Rametta, nella categoria B1 tra i beni suscettibili di dismissione.

 Il villino di via Rametta è un altro immobile da 20 anni proprietà del Comune.

Questa struttura, o meglio quello che ne resta, sorge accanto all’ospedale Ferrarotto, al centro della prima municipalità e occupa una superficie di 370 mq.

Secondo un’analisi della Direzione Urbanistica e gestione del territorio effettuata nel 2008, “l’immobile è localizzato in una zona con gravi problematiche di tipo urbanistico e sociale” e si auspica quindi che venga destinato a “servizi di interesse collettivo, attività culturali, centri di quartiere”.
 

Il signor Giuseppe Currò abita da più di 10 anni di fronte al parco Monte Po.

Insieme agli altri abitanti del quartiere aspetta che le promesse dell’Amministrazione comunale vengano mantenute.

Per questo inviò il 5 marzo del 2009 una lettera al quotidiano La Sicilia denunciando la drammatica situazione del parco.

Entriamo nella prima villa. Nessun ostacolo ci impedisce di superare il cancello d’ingresso. Solo qualche settimana dopo la nostra prima visita troviamo alcuni grandi massi che impediscono il passaggio a macchine e motorini, permettendoci comunque di entrare a piedi.

Per lo stato in cui versa la struttura e per la pericolosità che ne deriva, i dipendenti della Manutenzione strade della vicina via Palermo sono stati chiamati ad intervenire, pur non avendone competenza. Uno di loro ci ha guidati nella visita.
 
Il casale, destinato originariamente a comando dei vigili urbani, è composto da tre edifici semidistrutti.

Tutto intorno, in mezzo al verde, troviamo cumuli di rifiuti di ogni tipo. Perfino una discarica di eternit, materiale di costruzione notoriamente tossico.

Tutto questo nello stesso posto scelto per commemorare i Giusti della seconda guerra mondiale.

Il signor Currò ci accompagna alla seconda villa. Il cancello è aperto e ci troviamo circondati da cumuli di rifiuti scaricati, come raccontano gli abitanti del quartiere, quotidianamente alle sette del mattino.
 
Rifiuti, abbandono, vandalismo. Di casi come questi ne esistono molti altri, e da troppi anni.

Resta anche da capire che fine faranno questi immobili se un giorno verranno rimessi in sesto.

Staremo a vedere se l’impegno preso dall’assessore si trasformerà in realtà nei tempi promessi.

 

 

[Montaggio di Sara Simarro e Daniele Palumbo]

NB. La redazione e gli autori precisano che per la realizzazione dell’inchiesta sono state utilizzate apparecchiature non professionali. Inoltre sulla durata della stessa incide il limite temporale imposto dalla piattaforma Youtube. Altre produzioni del “Laboratorio inchieste e videogiornalismo” verranno pubblicate nelle prossime settimane.


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