Barroso in Sicilia, Vizzini: “L’Europa a un bivio”

di Gabriele Bonafede

José Manuel Durão Barroso

Schulz vuole maggiore aiuto all’Italia. Barroso viene in Sicilia, sull’onda emotiva della strage di Lampedusa.  Non sono solo leader europei, sono soprattutto leader della Socialdemocrazia europea. Uno tedesco, l’altro portoghese, sono rappresentanti di un gruppo al Parlamento europeo che accomuna tutti i partiti d’ispirazione a un tempo socialista e democratica.

Abbiamo dunque incontrato un siciliano leader nazionale dei socialdemocratici e fondatore del partito del socialismo europeo (PSE, PES nella nell’acronimo internazionale), Carlo Viizzini, che pur essendo oggi in un partito, il ricostruito Psi, junior-partner di un contesto di governo italiano a guida PD, non ricopre più incarichi istituzionali o di governo. Dunque, possiamo affrontare una discussione di più ampio respiro, che può spaziare liberamente nei grandi temi che coinvolgono l’Europa e che mettono al centro dei problemi europei la nostra Isola.

Va ricordato che, forse per la prima volta, la politica d’immigrazione europea ha portato la parola “Sicilia” nel tavolo delle trattative di un eventuale governo di “grande coalizione” democristiana-socialdemocratica  in Germania: fino a una settimana fa la questione della politica europea d’immigrazione non era tra i temi delle trattative poste sul tavolo della SPD nei confronti della Merkel, mentre oggi lo è. Non a caso, i due leader socialdemocratici europei mostrano una tale attenzione intorno alla Sicilia, quanto meno su questo tema.

Senatore, cosa direbbe, o chiederebbe, a Barroso se fosse istituzionalmente deputato a farlo, o semplicemente come esponente di un’azione politica che fa capo alla socialdemocrazia europea?

Carlo Vizzini al Senato

Direi innanzitutto che l’Europa è a un bivio: o si va verso l’Europa “dei ragionieri”, che contano i decimali del rapporto deficit-Pil, oppure, come fecero Francia e Germania quando furono poste le basi dell’UE, si va verso un’Europa che si prende qualche libertà dal punto di vista “ragionieristico” ma che serve per fare nascere l’Europa politica e mettere le radici vere degli “Stati uniti d’Europa”.

Purtroppo dobbiamo costatare che se non c’è la grande emozione che colpisce il cuore di milioni di cittadini europei, se non ci sono 300 morti, i problemi restano e le cancellerie li trattano con l’egoismo degli Stati nazionali. È un poco come la lotta alla mafia dove se c’è il delitto eclatante o la strage la gente si riversa indignata nelle piazze, ma per il resto se la mafia s’immerge e continua a fare i suoi sporchi affari non c’è una reazione, non ci sono grandi folle, nemmeno alle manifestazioni di ricordo.

Quale ruolo della Sicilia sul piano internazionale?

Innanzitutto, partiamo da un dato. L’Italia è la Sicilia, perché ci sono tanti siciliani caduti nelle missioni di pace che sono autentiche guerre. E l’Italia non si è mai rifiutata di fare da sentinella del mondo, nelle missioni “di pace” che in realtà sono in focolai di guerra del mondo.

Martin Schulz. Foto tratta da Wikipedia

Inoltre, la Sicilia è stata utilizzata dal governo nazionale, proprio perché è un ponte tra continenti. E oggi, che la Sicilia è un pezzo a sud della frontiera dell’Europa, si trova a operare in una logica molto poco europea: non si ritrova con l’Europa alle spalle.  Questo deriva dall’approccio. Ad esempio è stata la Francia e non noi a chiedere una riunione dei ministri sulla questione delle ondate migratorie.  Sono contento se è la Francia a proporre una riunione europea sulla questione. Ma tutto questo si riduce sempre a una politica dei singoli Stati. Ad esempio, vengono forniti mezzi per fare funzionare Frontex che dovrebbe essere la vera forma di cooperazione europea. Frontex è lo strumento d’intervento che i singoli Stati possono chiedere e sul quale abbiamo poco da lamentarci perché quello che abbiamo chiesto lo abbiamo avuto:  i mezzi e il personale. Ma se lo chiede un qualsiasi Stato, lo ottiene con una gestione a parte, ogni Stato a se stante.  E qui cade la cooperazione europea, perché ogni operazione di Frontex è gestita da uno degli Stati, quindi nel Mediterraneo ci sono sei diverse operazioni-Frontex, ciascuna gestita da uno Stato per un solo pezzo di mare. Tra i pezzi di cui si occupano sei Stati diversi le scorciatoie per passare si trovano sempre. Quindi non c’è una gestione europea unica che, utilizzando tutte le tecnologie moderne, mette sotto controllo un pezzo di mare, ma singole operazioni. Come avviene in tanti campi in cui l’Europa interviene, di fatto avviene anche per gestire le frontiere dell’Europa. In qualunque materia arriviamo è spesso così, invece si dovrebbe mettere un’unica autorità.

Ma il problema evidenziato dalla terribile strage di Lampedusa non è solo legato al controllo delle frontiere: è molto più profondo. E allora?

Oggi dobbiamo cominciare a distinguere le cose dal passato. In questo momento non siamo di fronte a migranti che vengono a installarsi per motivi essenzialmente economici, ma vengono perché scappano dalle guerre e dalle dittature: sono in larga parte rifugiati. E questa cosa va affrontata in una logica differente tenuto conto che l’Italia non ha molti rifugiati. Nell’ultimo accordo che si fece, c’erano scritte tutte le solite cose che fanno sempre bene, lasciano tutti contenti e nessuno scontento. Da un lato si afferma che i migranti rappresentano un contributo alla crescita dell’Europa, dall’altro ovviamente bisogna tenere conto della capacità di accoglienza, in rapporto ai servizi e ciò che possono realmente offrire i Paesi europei. E poi si deve proteggere questa gente dallo sfruttamento. Ma di questo passo, cioè con compromessi troppo ambigui, non arriveremo mai da nessuna parte. Quando Willy Brandt pose per la prima volta la questione nord-sud, disse che si può ragionevolmente affrontare questo problema quando ci si rende conto che il 9-10% degli abitanti del mondo detiene quasi tutta la ricchezza esistente: il vero problema è una vera redistribuzione della ricchezza mondiale.

Willy Brandt. Foto tratta da Wikipedia

In questo contesto, la Sicilia avrebbe da sola gli strumenti, nell’ambito dell’Autonomia, per legiferare per conto proprio? O anche agire per conto proprio?

La Sicilia non è in condizioni economiche tali da agire da sola. Ha bisogno di un sostegno dell’Europa. Purtroppo le regioni europee di frontiera sono anche le regioni meno ricche. Abbiamo sempre detto che questo poteva essere un punto di riferimento in positivo. Ma se diventiamo soltanto Paese ricettore, per altro non adeguatamente sostenuto, non si risolve nulla. Ripeto, non è solamente un quadro di risorse, ma di responsabilità politica in quanto tale. Quando si parla di fatti economici non ha più senso avere un Presidente della Commissione Europea che non è eletto dal popolo ma dai giochi delle cancellerie.

Torniamo a Barroso in Sicilia. Quale significato?

Barroso fa un gesto istituzionalmente giusto. Deve avere il coraggio di lasciare questa priorità nell’agenda di un’Europa che va verso il voto: il coordinamento effettivo delle politiche d’immigrazione e di rafforzamento economico sociale e infrastrutturale delle frontiere, delle regioni di frontiera. Dal mio punto di vista fa il paio con l’esigenza di avere una banca centrale, di un maggiore rafforzamento della politica europea che va verso un’UE anche politica e non solo economica: il bivio del quale parlavo prima.

E, in effetti, qui per la prima volta il problema-frontiere, sull’emozione di fatti avvenuti in Sicilia, entra nella contrattazione per la “grande-coalizione” in Germania. Quali secondo Lei, i temi che potrebbe mettere sul tavolo la socialdemocrazia europea in questo contesto e in questo momento?

Non essendo l’Europa nelle condizioni economiche di fare interventi strutturali, almeno questa fase di transizione va gestita con una prevenzione la cui responsabilità le deve assumere l’Europa in quanto tale.

In Italia con il governo Berlusconi si riuscivano a garantire risultati importanti (poca gente veniva) perché in parte si riusciva a bloccare i flussi in partenza che partivano da esigenze legate alla miseria. Adesso, in un quadro di Paesi d’origine molto più deteriorato, si scappa dalla morte, dalla tortura e non solo dalla fame. Mi pare che nel PdL ormai ci sia Alfano. Il quale mi è sempre sembrato molto cauto, ma è una persona giovane e capirà che sono radicalmente mutate le condizioni e che la situazione di questi Paesi rischia di diventare lunga e dolorosa. Oltretutto, i Paesi da dove provengono gli immigrati, i rifugiati, di oggi, sono Paesi dove il problema non è solamente la democrazia: c’è una povertà assoluta e chiunque prende il governo dopo sei mesi viene bittato giù perché non riesce a risolvere problemi così complessi in poco tempo.

Il ruolo della Sicilia come frontiera armata (MUOS, basi militari, etc.). Cosa ne pensa?

Questo compito attiene al governo nazionale. Ricordo dell’episodio di Craxi che fece valere la sovranità nazionale negli anni ’80 proprio in Sicilia per l’uso della base di Sigonella. Questo è il solco nel quale muoversi, quando si tratta di difendere la sovranità nazionale. Sarebbe singolare se pensassimo di rivolgerci agli USA con il cappello in mano. Il problema di oggi nella gestione delle regioni di frontiera dell’UE è figlio del modo di far politica del quale ho parlato all’inizio: di queste cose ci si deve occupare quando ci sono e quando si sa che prima o poi daranno disturbo. Invece si fa finta di dimenticare e poi, quando scoppia il caso, finalmente ci si mobilita.


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