Baby miss e mister, da Sicilia centinaia verso Milano «Mamme manager cercano carriera facile per i bimbi»

Piastre per capelli, piccoli tacchi, vestiti luminosi e rossetti. Non si va oltre il metro e mezzo di altezza. È il mondo di baby miss e mister. Si svolge, prevalentemente in estate, nei centri commerciali delle periferie o in manifestazioni di provincia. Uno dei luoghi in cui questo fenomeno è più rilevante, insieme a parte della Campania e alla riviera romagnola, è la Sicilia. Selezioni, sfilate per noti marchi di abbigliamento e concorsi di bellezza che mettono in palio una fascia oppure, qualche volta, semplicemente un cesto alimentare. 

«La Sicilia è una terra in cui episodi del genere si verificano con più frequenza probabilmente perché tante famiglie vengono spinte dalle difficoltà economiche». A parlare a MeridioNews è il deputato palermitano del Movimento 5 stelle, Riccardo Nuti, firmatario di una interrogazione parlamentare sull’argomento che suggerisce l’invio di ispettori da parte del governo sui set di quei concorsi di bellezza. Lo spunto arriva dal libro denuncia di Flavia Piccinni, Bellissime. Baby miss, giovani modelli e aspiranti lolite. «L’alto tasso di disoccupazione da cui è afflitta la nostra Isola – sostiene Nuti – spinge i genitori ad avere un primo approccio con il mondo del lavoro dei bambini, anche se nella maggior parte dei casi i compensi sono irrisori». Si parla in media di 66 euro netti per due giorni che possono arrivare fino a non più di 150 euro per tre giorni. «Paghe bassissime se si pensa al volume di affari della moda bimbi che, nel corso dello scorso anno in Italia, ha superato i 2,7 milioni di euro. Il fulcro del mio interessamento al tema – sottolinea il deputato – è però il trattamento del minore».

Fra le storie di Bellissime «ce ne sono due che mi hanno colpito di più – racconta l’autrice a MeridioNews – La prima riguarda una bella ragazza siciliana, di Catania, che un giorno a settimana si sveglia all’alba, prende l’aereo e va a Milano per far fare i provini al proprio bambino di appena un anno e mezzo». È il racconto di una mamma a tempo pieno che si comporta, però, come una vera e propria manager di suo figlio che si regge a malapena in piedi. «Ma l’intervista che mi ha sconvolto di più – dichiara Piccinni – è quella di Elisa, una bambina siciliana, della provincia di Palermo. Ha sei anni, frequenta la prima elementare e ha appena vinto un concorso, il premio era un cesto alimentare. Lei ha sfilato con indosso un body turchese attillatissimo che termina con una grande gonna in tulle. Mi dice di non essere mai stata tanto felice in tutta la sua vita perché, dice, “a essere tristi sono solo i bambini brutti“». 

Quello indagato dall’autrice è un mondo poco conosciuto, fatto di sfruttamento e ipersessualizzazione dei bambini. Dal punto di vista normativo tutto dovrebbe ruotare intorno a una circolare, la numero 67 del 1989 del ministero del Lavoro, che regola l’impiego dei minori nel mondo dello spettacolo: per esempio, per un bambino fino a tre anni «deve essere posto a disposizione dei genitori o del tutore un locale idoneo a garantire il soddisfacimento delle principale esigenze fisiologiche del bambino» e «l’impegno lavorativo non potrà in alcun modo superare le tre ore giornaliere e deve avvenire in presenza del genitore o del tutore o di persona da questi espressamente delegata». Ma c’è una distanza significativa tra teoria e prassi. 

«L’esasperazione del culto dell’apparenza è lo strumento più semplice per l’affermazione sociale che si concretizza maggiormente in alcuni territori per supplire alla mancanza di altro – commenta Piccinni – Dalla Sicilia sono un centinaio le famiglie che fanno la spola con la città della moda per fare i casting». Dalle operaie alle professioniste, dalle disoccupate a quelle che si prendono giorni di ferie o di permessi per accompagnare i bambini. «Sono mamme di famiglia di livello sociale differente, ma legate da una sorta di egoismo. Gli occhi dei bambini – riflette l’autrice – brillano solo di riflesso rispetto a quelli dei loro genitori felici a bordo della passerella che applaudono mentre loro sfilano o sono in posa per le foto di un book. Gioca un ruolo grandissimo – conclude – la convinzione che i figli possano avere una vita lavorativa più soddisfacente e una carriera spianata». Ma è una truffa: il gioco finisce appena i bambini superano il metro e trenta di altezza.

Intanto Riccardo Nuti ha presentato un emendamento alla legge di Stabilità per un fondo a sostegno della tutela del lavoro dei bambini nel settore dello spettacolo «che deve essere subordinato a determinate condizioni – spiega – fra cui: un locale idoneo, la presenza di un pediatra e di una psicologa, il divieto di truccare i minori di sei anni». Inoltre, le richieste del deputato palermitano fanno riferimento anche a una regolamentazione per le pubblicità della moda bimbo e dell’abbigliamento per minori che devono essere rispettose dell’età dei bambini per evitare l’ipersessualizzazione e all’istituzione di un osservatorio permanente per la tutela del lavoro dei bambini e degli adolescenti nella moda e nello spettacolo.


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