Augusta, sversamento di cherosene da stabilimento Legambiente: «Venticinquemila litri a Punta Cugno»

«Sversamento di cherosene a Punta Cugno». La denuncia arriva da Legambiente Augusta e riguarderebbe una perdita di idrocarburi da una tubazione dello stabilimento di proprietà di Sasol. L’episodio si sarebbe verificato nei primi giorni di aprile e avrebbe causato «un grave inquinamento» nella nota zona industriale a poca distanza dal mare. All’origine ci sarebbe stato un tentativo di furto che, stando ai responsabili dell’azienda, era stato perpetrato forando l’oleodotto che passa all’interno dell’area militare recintata per sottrarne il cherosene

Ad accendere i riflettori sulla vicenda sono adesso gli ambientalisti, che con una nota richiamano l’attenzione della sindaca di Augusta, Cettina Di Pietro, e dell’Arpa di Siracusa. L’associazione presieduta da Enzo Parisi era già intervenuta nelle scorse settimane, affermando che «l’avvenimento è l’ennesimo segnale dello stato di rischio in cui permane il territorio e non lasciano tranquilli le parole rassicuranti dell’azienda che tutto sarebbe stato risolto» e sottolineando che «sarebbe opportuno che l’amministrazione comunale prendesse direttamente visione di come stanno le cose». L’invito rivolto all’Agenzia regionale per la protezione ambientale è poi di «verificare fino a che punto è giunta la contaminazione e ordinare la bonifica dei suoli». 

Sarebbero circa 25mila i litri di cherosene sversato. «Equivalente a quello trasportato da una grande autocisterna, la metà di quanto sversato nel torrente Polcevera di Genova l’anno scorso», si legge nella nota di Legambiente. A preoccupare gli ambientalisti è soprattutto la mancanza di notizie circa «l’effettiva dimensione del danno ambientale che ne è derivato». E nonostante lo stabilimento, subito dopo l’incidente, abbia attivato le opere necessarie per la bonifica e la messa in sicurezza dell’area in questione, resta da capire «quali interventi siano stati avviati, quali eseguiti e quali restano da completare». Anche perché nella zona, secondo quanto sostiene l’associazione, è ancora presente una forte puzza di prodotti petroliferi oltre a vari cumuli di materiale di scavo, probabilmente impregnati di idrocarburi.


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