La raccolta firme, indirizzata ai magistrati della procura di Roma, punta a evitare l'archiviazione del fascicolo aperto per omicidio volontario. Nelle scorse settimane, il tribunale di Viterbo ha condannato la donna che avrebbe ceduto la dose di droga fatale. Ma i dubbi sulla morte dell'urologo rimangono tanti
Attilio Manca, petizione per non chiudere indagine «Non fu suicidio, ucciso da mafia e servizi segreti»
«Non archiviate l’inchiesta sulla morte di Attilio Manca». La famiglia dell’urologo di Barcellona, trovato morto a Viterbo il 12 febbraio 2004, non si arrende. Come non ha fatto da 13 anni a questa parte, lottando perché sia fatta giustizia ed emerga la verità su quello che ritengono sia un omicidio. È per questo che lancia l’appello al procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone, all’aggiunto Michele Prestipino e alla sostituta Maria Cristina Palaia perché l’inchiesta aperta dalla procura di Roma non venga archiviata.
L’urologo venne ritrovato con due segni di iniezioni nel braccio sinistro, segni rimasti dell’orvedose di eroina, alcool e tranquillanti che ne avrebbero causato la morte. Azione che Manca avrebbe compiuto da solo, anche se c’è chi non ci crede. A partire dalla madre che da subito ha ricordato che il figlio era un mancino puro, incapace di utilizzare la mano destra, oltre a sottolineare che l’uomo non era mai stato un tossicodipendente. A confermarlo sono stati anche i colleghi dell’ospedale Belcolle di Viterbo, dove Manca lavorava. Nel testo che accompagna la petizione sulla piattaforma Change.org si ricorda quello che per la famiglia da tempo è più di un sospetto: «Secondo la tesi dei legali della famiglia Manca, Fabio Repici e Antonio Ingroia, Attilio Manca avrebbe visitato il capo di Cosa Nostra, Bernardo Provenzano (prima o dopo il suo intervento alla prostata realizzato in Francia nell’autunno del 2003), dopodiché sarebbe stato eliminato in quanto testimone scomodo della rete di protezione extra-mafiosa eretta attorno al boss mafioso».
Ma questa versione non è stata sposata dalla procura di Viterbo, che invece ha sempre sostenuto che Manca si sarebbe iniettato volontariamente le dosi nel braccio sbagliato. Una tesi che ha portato lo scorso 29 marzo il tribunale a emettere la sentenza di condanna a cinque anni e quattro mesi nei confronti di Monica Mileti accusata di avere ceduto la droga all’urologo. Ma se per gli uffici giudiziari di Viterbo il caso Manca è chiuso, non lo è per la procura distrettuale antimafia di Roma, dove da più di un anno è aperto un fascicolo contro ignoti sotto la dicitura «omicidio volontario». «È nei confronti della procura capitolina che la famiglia Manca si appella per fare in modo che il caso relativo alla morte del proprio congiunto non sia archiviato – si legge ancora nella petizione -. Il fascicolo aperto a Roma racchiude tra l’altro le testimonianze di quattro collaboratori di giustizia che, a vario titolo, circoscrivono la morte di Attilio Manca all’interno di un disegno criminoso dove si muovono: mafia, servizi segreti deviati e massoneria».
In tal senso si inseriscono le dichiarazioni di Giuseppe Campo, «ex picciotto della provincia di Messina ha raccontato recentemente agli investigatori e ai legali della famiglia Manca di essere stato incaricato lui stesso da un boss del messinese (a dicembre del 2003) di uccidere Attilio Manca con una pistola, ma che dopo un paio di mesi da quel primo incontro gli era stato confidato che il giovane urologo siciliano era già stato ucciso a Viterbo». E queste non sono le uniche dichiarazioni che confermano quanto da sempre sostenuto dalla famiglia. Ci sono quelle di altri collaboratori di giustizia come Giuseppe Setola, Stefano Lo Verso e Carmelo D’Amico. «Quest’ultimo nel 2015 ha rivelato agli inquirenti di essere stato messo a conoscenza del progetto omicidiario nei confronti di Mancaa», sottolineano i legali.
Ma nell’esposto dei legali della famiglia Manca presentato in procura a Roma, non ci sono solo le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Ci sarebbero, infatti, anche elementi che porterebbero a escludere definitivamente la tesi del suicidio: oltre all’essere mancino e a non avere avuto mai problemi di droga, non sono state trovate impronte digitali della vittima sulle siringhe trovate nell’appartamento. Senza contare le foto del cadavere che cristallizzerebbero una situazione poco conforme a una morte per overdose e la mancanza di prove in merito alla cessione di eroina da parte di Mileti. Tra i primi firmatari della petizione anche don Luigi Ciotti, i sindaci di Messina e Palermo, Renato Accorinti.e Leoluca Orlando, ma anche esponenti del mondo del giornalismo, come Marco Travaglio e Sandro Ruotolo, dello spettacolo, come la cantante Fiorella Mannoia, e della politica nazionale. A firmare anche ex colleghi di Manca.