A raccontare a MeridioNews la storia di Bilel Ben Masoud - il 22enne tunisino annegato dopo avere cercato di raggiungere a nuoto la costa siciliana - sono la zia e un amico. «Aveva avuto una vita difficile, ma era contento di essere arrivato in Europa»
Chi era il migrante morto gettandosi dalla Moby Zazà «Era partito perché voleva aiutare la sorella malata»
Occhi grandi e un sorriso che nasconde la sofferenza di una vita fatta di stenti. Un sogno – raggiungere l’Europa, cambiare vita – spezzato in una notte di maggio, a pochi chilometri dalle coste della Sicilia. Bilel Ben Masoud, 22enne tunisino, è morto annegato dopo essersi gettato dalla Moby Zaza, la nave quarantena in rada al largo di Porto Empedocle. Il suo corpo è stato ritrovato alla foce del fiume Naro.
Bilel si è gettato forse nel tentativo di raggiungere la costa a nuoto. Era giunto a Lampedusa con altri 13 giovani connazionali. Uno dei tanti sbarchi autonomi. Poi la notte trascorsa all’hotspot, il trasferimento a Porto Empedocle, per tornare ancora una volta in mare, sulla Moby Zaza, dove avrebbe dovuto trascorrere due settimane per via dell’emergenza Covid-19.
Quel viaggio lo aveva immaginato tante volte. A MeridioNews parla la zia, con la voce rotta dal pianto. «La sua è stata una vita sfortunata – raconta – La mamma morì quando lui aveva appena tre anni. Una famiglia numerosa, tre sorelle ed un altro fratello. Lui è stato sballottolato da una casa all’altra. Abbandonato anche dal padre». A occuparsi di lui un amico di famiglia, Elaidi Kassebi, che ancora non riesce a dare una spiegazione a quanto accaduto. «Non si sarebbe mai buttato per togliersi la vita – afferma – era un ragazzo normale, voleva solo trovare un modo per aiutare la famiglia e soprattutto una delle sorelle, affetta da una grave disabilità. L’ho sentito quado è arrivato in Italia – prosegue – ha chiamato me e la zia. Era felice. Finalmente era riuscito a raggiungere l’Europa. La vita non è stata buona con lui. Quella è l’ultima volta che l’ho sentito. Abbiamo saputo della sua morte dai suoi compagni sulla nave».
Pieno di vita, gran lavoratore, così lo descrivono i familiari. Lavoro spesso negato in Tunisia. Nel Paese il tasso di disoccupazione è altissimo. I giovani passano la maggior parte delle loro giornate al caffè. I più fortunati, quelli che riescono a trovare un’occupazione, guadagnano in media 200-300 dinari al mese, ovvero 100-150 euro, pochi se sei costretto a crescere in fretta e portare sulle spalle il peso della famiglia. «Non riesco a darmi pace – continua a ripetere Kassebi – era su quella nave. Nessuno li controllava? Nessuno si è accorto che si è gettato in mare?». Risposte che forse potrebbero arrivare dall’inchiesta aperta dalla procura di Agrigento per istigazione al suicidio. «Un atto dovuto», ha specificato qualche giorno fa il procuratore Luigi Patronaggio.
Tra i primi ad occuparsi del caso, l’associazione Terre Pour Tous, guidata da Imed Soltani, che da anni si occupa di migranti, in particolare il fascicolo legato ai cosiddetti desaparecidos tunisini. «Queste tragedie potrebbero essere evitate – dice Imed Soltani – Basterebbe fare dei trattati seri tra Paesi, che non riguardino solo i respingimenti. Noi non riusciamo a capire perché gli europei sono liberi di venire a costruire le loro fabbriche nel nostro Paese – per i loro scopi personali, per non pagare le tasse, per sfruttare la manodopera locale – ma se un nostro giovane vuole raggiungere l’Europa, vuole cercare lavoro fuori dalla Tunisia, non lo può fare. Questa è un’ingiustizia. E noi lotteremo sempre per i diritti di tutti, non solo dei tunisini».
Terre Pour Tous ha aiutato i familiari del giovane Bilel Ben Masoud a contattare il consolato. «Quello che vogliono – conclude Imed Soltani – è sapere con certezza cos’è successo a bordo della Moby Zaza e riavere indietro il corpo del giovane per dargli una degna sepoltura nella sua terra».
(si ringrazia per la collaborazione Hajer Aissi)