Al Biviere di Gela scoppia nuova guerra per l’acqua Riserva accusa Raffineria: «Rischio prosciugamento»

A meno di tre settimane dall’estate, quella che si profila nel profondo sud della Sicilia è una guerra dell’acqua. Oggetto della contesa è il lago Biviere di Gela, sito tutelato dalla Comunità europea per l’importanza dell’habitat, specialmente per quanto riguarda la conservazione di numerose specie di uccelli. A sfidarsi sono da una parte la Riserva naturale gestita, per conto della Regione, dalla Lipu e dall’altra l’ex Consorzio di bonifica di Gela, da tre anni accorpato al Consorzio Sicilia Occidentale. In questa storia, poi, un posto – soltanto in apparenza secondario – spetta alla Raffineria di Gela

Le prime schermaglie
Si sono registrate martedì scorso, quando le pompe di sollevamento del Consorzio di bonifica, che si occupa delle forniture idriche per il settore agricolo, sono entrate in funzione iniziando ad attingere dal bacino. Una mossa a sorpresa. Non perché fosse la prima volta che l’acqua del Biviere veniva prelevata, ma per il fatto che i tecnici dell’ente guidato dal commissario Carlo Turriciano hanno agito nonostante la sospensione dell’autorizzazione, disposta dal direttore della riserva Emilio Giudice ad agosto dell’anno scorso e mai revocata. «Il Consorzio ha attivato le pompe senza dare alcuna comunicazione», si legge in un documento simile a quello dell’estate scorsa, ma che stavolta è stato inviato anche alla Procura di Gela e al Noe dei carabinieri di Palermo.

Ad allarme il gestore della riserva è il livello del lago che attualmente è di 3,80 metri sul livello del mare. Appena 30 centimetri sopra la soglia che garantisce le funzioni ecologiche del bacino. Limite che, considerato che tra giugno e settembre il livello scende di oltre mezzo metro, potrebbe essere abbondantemente superato. «Il danneggiamento di habitat all’interno di siti dell’Unione Europea si configura quale reato penale», ricorda il direttore della riserva. Il promemoria era stato inserito anche nel dispositivo di sospensione della scorsa estate ma la sua capacità persuasiva è stata a tempo determinato. Mentre è rimasta inascoltata la richiesta, risalente al 2016, di un tavolo tecnico per affrontare un problema che, oltre a risvolti penali, potrebbe portare a «ulteriori procedure d’infrazione contro lo Stato da parte dell’Ue».

Il lago Dirillo e il polo industriale di Gela
Per comprendere a fondo questa storia, e le responsabilità addebitate al Consorzio di bonifica, bisogna risalire la corrente. Andare a monte delle cose, sia geograficamente che temporalmente. A poco più di trenta chilometri a nord-est dal Biviere si trova il lago Dirillo, invaso artificiale creato a metà del secolo scorso tramite la diga Ragoleto. In principio, erano gli anni Cinquanta, la concessione fu ottenuta dalla Società Anonima Costruzioni Idrauliche (Saci) e poi ceduta all’inizio del decennio successivo alla Anic, l’azienda nazionale idrogenazione combustibili che a Gela, per iniziativa di Enrico Mattei, realizzò il polo petrolchimico. L’acqua accumulata tramite la diga, infatti, sarebbe servita per usi industriali e per irrigare i terreni compresi nel triangolo Acate, Comiso, Vittoria. La distribuzione agli agricoltori sarebbe spettata al Consorzio di bonifica. 

L’accordo, però, non finiva qui. Nella concessione acquisita da Anic, che successivamente ha passato tutto a Raffineria di Gela spa, è specificato che in caso di necessità, tra novembre e aprile, il gestore dell’invaso deve rilasciare fino a un massimo di quattro milioni di metri cubi a favore dell’ex Consorzio di bonifica. Un impegno tutt’ora valido ma che l’ente regionale – il cui sito web è fermo da tre anni – molto di rado avrebbe fatto rispettare, non esplicitando di anno in anno l’esigenza di avere l’acqua dal Dirillo. Una privazione che se unita allo stato ambientale di certo non ottimale dell’area rende lo scenario preoccupante. «Un eccessivo abbassamento del livello del lago comporta un apporto idrico dalle falde che si trovano già in uno stato di inquinamento diffuso come certificato da Ispra», si legge nel documento inviato in procura.

Per il direttore della riserva senza l’apporto della diga gestita dalla Raffineria di Gela, non può essere consentito alcun prelievo dal Biviere, a meno di non rischiare «il prosciugamento e quindi un disastro ambientale di livello internazionale». E per chi si chiedesse come mai la situazione si sia trascinata fino al 2020 senza trovare una soluzione, la risposta sta nel rivedere la domanda: era infatti il 2009 quando il Tribunale superiore delle acque pubbliche dichiarò inammissibile un ricorso della Raffineria contro un provvedimento della Riserva che stoppava i prelievi del Consorzio, chiedendo all’azienda di non venire meno ai propri obblighi. Da allora, però, a quanto pare poco o nulla è cambiato.


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