Il direttore dell'Asp di Trapani viene bollato come «perno centrale dell'indagine». Al suo servizio il faccendiere Salvatore Manganaro e le aziende filtro. Durante le intercettazioni utilizzavano un linguaggio idoneo a garantire la non tracciabilità
Nome in codice Sorella. Il manager che gestiva le gare «Le società come matrioske per veicolare le tangenti»
Per gli inquirenti è stato «il perno centrale di tutta l’indagine». Un profilo poco invidiabile, eretto dai magistrati a simbolo di un presunto sistema di scambio di favori, in nome del denaro, tra spregiudicati funzionari pubblici e imprenditori privati disposti a pagare tangenti per avere la strada spianata negli appalti. Oltre all’ex paladino della legalità Antonino Candela, destinatario di un’ordinanza di custodia cautelare ai domiciliari, è finito nei guai il potente avvocato palermitano Fabio Damiani, attuale direttore generale dell’Azienda sanitaria provinciale di Trapani.
Damiani è accusato di corruzione e turbativa d’asta nell’ambito dell’inchiesta Sorella Sanità. Decisivo per portare avanti il sistema sarebbe stato l’altro indagato Salvatore Manganaro. Autodefinitosi «faccendiere» del manager con il compito di fare da filtro personale negli affari illeciti. A lui, stando alla ricostruzione dei militari della guardia di finanza, si rivolgevano per esempio le ditte che volevano recepire informazioni utili per gli appalti. Tra Damiani e Manganaro ci sarebbe stato «un patto di ferro, stabile e duraturo nel tempo», si legge nell’ordinanza. Sotto la lente d’ingrandimento gare per centinaia di milioni di euro.
Una montagna di soldi che avrebbe reso difficile la riscossione in contanti. Per questo motivo, stando allo accuse, l’organizzazione prevedeva dei veri e propri rapporti imprenditoriali, basati sull’emissione di fatture, tra i corruttori e le società riconducibili al faccendiere del manager Damiani. «Aziende – viene scritto nell’ordinanza – appositamente costituite come matrioske e utilizzate come strumenti per veicolare le tangenti». Di fatto né Damiani né Manganaro comparivano direttamente. Il frontman, sulla carta, era l’avvocato agrigentino Vincenzo Li Calzi, titolare della Datamed, con sede a Milano, e di Greensolution ed Helthcare Innovation. Il gruppo avrebbe utilizzato anche un linguaggio in codice per confondere le acque. Damiani, per esempio, sarebbe stato indicato come «la sorella».
Prima di approdare su indicazione del governo Musumeci all’Asp di Trapani, Damiani nel 2013 era finito al Ciapi, l’ente che si occupa di formazione per la Regione, su mandato dell’allora governatore Rosario Crocetta. Per due anni, dal 2016 al 2018, diventa il direttore della Centrale unica degli appalti, una sorta di Consip siciliana. Ruolo che per un periodo condivide con quello di direttore del dipartimento gestione risorse economiche dell’Asp di Palermo.
Damiani ha costruito la propria carriera all’ombra della politica. Tanto da passare indenne dal cerchio magico di Rosario Crocetta alla corte del governatore Nello Musumeci. Il gip descrive l’avvocato come «ossessionato dalle nomine nell’ambito della sanità siciliana». Per soddisfare la sua brama di potere avrebbe cercato in più occasioni sponde politiche. Per arrivare al presidente dell’Assemblea siciliana Gianfranco Miccichè – ma senza successo – si sarebbe rivolto al fratello Guglielmo, incontrandolo nel prestigioso bar Spinnato di Palermo. C’è poi il canale con il deputato regionale Carmelo Pullara, vicepresidente della commissione Sanità pure lui finito coinvolto nell’inchiesta. Quest’ultimo si sarebbe attivato con Damiani per perorare la causa dell’azienda di pulizie Manutencoop, in cambio il manager avrebbe chiesto la sponsorizzazione per una nomina nel mondo della sanità. Un presunto mercimonio dell’attività pubblica che, per gli inquirenti, farebbe emergere «la nefasta ingerenza politica nella procedure di designazione dei direttori generali delle aziende ospedaliere».