Intervista all'infettivologo e membro del comitato tecnico-scientifico della Regione Bruno Cacopardo. «Importanti le mascherine al chiuso. In guardia anche chi è stato giudicato guarito». Per la fase tre c'è tempo. «Dopo l'estate, ma scelgano i politici»
Covid-19, quanto inciderà la fase due nell’epidemia «I contagi potrebbero aumentare di almeno il 10%»
Come sarà la fase due? Da stamattina è questa la domanda delle domande. Anche in Sicilia. La risposta passa da come ci si adatterà alle nuove regole previste dall’ultimo decreto Conte e dall’ordinanza regionale firmata a ruota dal presidente Musumeci. Ma non solo. Ad avere un ruolo fondamentale saranno anche i dati epidemiologici che verranno raccolti nell’isola e i loro riflessi sul sistema sanitario. Sventato il timore del picco atteso in aprile e il timore di dover ricorrere a una nave-ospedale in seguito alla saturazione dei posti in terapia intensiva, adesso l’attenzione sarà rivolta a ciò che sarà da qui in avanti. La ripresa decisa da Roma – giudicata eccessivamente lenta da Palermo – comporterà un ampliamento delle libertà individuali ma di pari passo la possibilità che i contagi tornino a salire. MeridioNews ne ha parlato con Bruno Cacopardo, infettivologo e componente del comitato tecnico-scientifico che dall’inizio dell’epidemia affianca il governo regionale.
Dottore, come arriva la Sicilia alla fase due?
«La situazione nell’isola è attualmente caratterizzata da un numero basso di ricoveri, con poche decine di persone in terapia intensiva. Qualche decesso ancora c’è, ma molti vengono estubati. Ma questo è soltanto uno dei dati che vanno presi in considerazione. L’altro è quello riguardante il numero dei contagi in atto che, come quello dei contagi totali, è meno sincero rispetto al numero dei ricoveri».
Si riferisce alla questione tamponi e all’impossibilità di stabilire l’esatto quadro epidemiologico in assenza di un monitoraggio a tappeto?
«Esattamente. Tanto è vero che aumentando i tamponi aumentano i contagi. Nei giorni in cui ne vengono effettuati un numero maggiore, cresce anche il numero dei positivi. E ho la sensazione che ciò influisca anche nella distribuzione provinciale dei contagi».
Si spieghi meglio.
«Non mi stupirei se andando a confrontare i contagi nelle singole province ci accorgessimo che esiste una proporzionalità con il numero dei centri che processano i tamponi in quell’area. Per esempio, Catania resta la provincia con più positivi ma è anche quella dove forse si processano più tamponi».
Come si è evoluto il rapporto tra numero di tamponi fatti e casi positivi? Ci sono stati cambiamenti?
«Sì, e pure importanti. Nella fase acuta dell’epidemia ci aggiravamo sul 25-30 per cento di positività, adesso non si va oltre il due per cento di contagi sul totale dei tamponi. Tutto dipende dall’ormai famoso parametro R₀ (R con zero, ndr), ovvero quel valore che indica il numero di persone che un soggetto positivo è in grado di contagiare. Senza restrizioni il Sars-Cov-2 avrebbe un valore superiore a 3, mentre attualmente in Sicilia siamo intorno allo 0,3-0,4».
Il virus si è indebolito?
«Quando si dice questo si sottintende che il virus abbia subito una mutazione genetica che ne hanno ridotto la capacità di agganciare determinati recettori. Al momento, però, non ci sono studi che provano questa ipotesi. C’è stata una mutazione tra ceppo cinese e ceppo italiano ma non si sa che questa mutazione abbia indebolito il virus. La riduzione del R₀ deriva dalle misure che sono state prese in ottica contenimento».
Significa che adesso con la fase due dobbiamo aspettarci una risalita dei contagi?
«Si tratta senza dubbio di uno scenario verosimile. Tutto starà nel capire quanto questo valore salirà. Lo scenario più auspicabile, e che secondo me è possibile che si verifichi, è quello in cui R₀ si manterrà comunque sotto l’1 e la crescita dei contagi si attesterà intorno all’8-10 per cento».
Molto dipenderà da come i siciliani gestiranno la parziale libertà ritrovata.
«Già sarà fondamentale, soprattutto nella consapevolezza che nella diffusione del contagio giocano un ruolo importante gli asintomatici. Proprio questi ultimi sono ritenuti dei super-spreader, ovvero coloro che più di altri possono spargere il virus; è probabile che ciò avvenga perché negli asintomatici il virus non è contrastato dal sistema immunitario. In ogni caso sarà importante rispettare le prescrizioni, soprattutto in materia di distanziamento sociale. E nei casi in cui ciò non può essere garantito, usare adeguati dispositivi di protezione e lavare spesso le mani».
La mascherina sarà meglio indossarla anche all’aria aperta?
«All’aperto non è fondamentale. Al chiuso le probabilità di contagio aumentano anche di otto-dieci volte rispetto ai luoghi arieggiati».
Il presidente Musumeci ha ribadito la necessità di tenere la stretta sui rientri da fuori Sicilia. Scientificamente è una posizione che ha una base solida?
«Si tratta di una questione di gradienti di concentrazione. Le faccio un esempio: ipotizziamo di avere una casa con tre stanze non comunicanti. Nella prima ci sono 50 persone di cui 15 positivi, nella seconda sono in 40 dei quali cinque infetti, nella terza altrettante persone ma un solo contagio. Se si aprono le porte tra le stanze e si lascia libero chiunque di spostarsi è probabile che aumenteranno i casi positivi nella stanza in cui ce ne sono di meno».
A marzo hanno fatto scalpore i rientri dal Nord. L’allarmismo era giustificato?
«Sono tornate decine di migliaia di persone e credo che alla fine quelle risultate positive sono state circa duecento. Non tanti, ma consideriamo l’effetto moltiplicatore che avrebbero potuto avere se non ci fosse stato il lockdown».
In queste settimane si è parlato di test sierologici. C’è chi li ritiene importanti e chi ne mette in discussione l’attendibilità.
«Per quanto riguarda l’ultimo punto, credo che ogni ragionamento non possa prescindere anche dal considerare che l’altro test che finora si è usato, il tampone, non è per nulla infallibile. Ha una sensibilità del 60 per cento e il risultato dipende dall’attenzione con cui l’operatore sanitario lo effettua. Facendone due ci portiamo a una sensibilità superiore all’80 per cento, ma non si può escludere che qualcuno sfugga. Per il resto ritengo che i test sierologici possano rivelarsi molto utili per seguire la diffusione del virus, in quanto pare che tutti i soggetti infetti producono anticorpi. Questo al contempo non significa che la presenza di anticorpi neutralizzanti (le IgG, ndr) basti a determinare l’avvenuta immunizzazione».
Come mai?
«I dati dicono che non sono pochi i soggetti in cui la presenza di IgG convive con il virus. E un discorso simile può essere fatto per chi è stato giudicato guarito dal Covid-19, al momento non è chiaro quale sia il tasso di re-infezione, anche se probabilmente è basso. Questo significa che anche chi è guarito dovrà fare più attenzione nella fase due».
Quanto durerà questa fase due? Vede all’orizzonte una fase tre?
«Io manterrei la fase due fino a fine estate. Ma sono scelte che spettano alla politica».