Montante e la stampa: amicizie, soldi e dossieraggi «Ci duni du miliuni all’anno e non rompono i coglioni»

Possono essere amici, quasi sodali, certe volte anche grazie al denaro come merce di lusinga. Altrimenti, per dirla proprio con le sue parole, «rompono i coglioni». Antonio Calogero Montante, per tutti Antonello, non aveva dubbi su come bisognasse comportarsi con la stampa. Riempire i giornalisti di soldi. O aspettarsi che rompessero i coglioni. E lui lo sapeva bene chi erano gli amici e chi invece i giornalisti che rompevano i coglioni. Talmente bene da aver fatto attività di dossieraggio persino su di loro. Perché «un governo – diceva in una conversazione con l’ex vicepresidente della Regione, Mariella Lo Bello si mantiene con la comunicazione». Motivo per cui considerava Rosario Crocetta «un coglione di dimensioni cosmiche», per aver licenziato i 22 giornalisti dell’ufficio stampa della Regione. La soluzione con la stampa, per Montante, è un’altra: «Come fanno gli americani – dice ancora a Lo Bello – Vacci, dunici du miliuni e quattrocento mila euru all’anno e non rompono i coglioni… capisti? Di pubblicità no di attività».

Bastone e carota, insomma. Soldi e silenzio. Almeno nel Montante-pensiero. E chi non si allineava al sistema della nuova Confindustria in salsa sicula, quella che con una pubblica scusa a Libero Grassi si è vista aprire le porte del paradiso, finiva tra i dossier paranoicamente catalogati da Montante nell’archivio segreto nascosto dietro una libreria, nella sua villa di contrada Altarello a Serradifalco.

I bad boys che l’ex numero uno di Sicindustria spiava con maggiore attenzione sono tre: Gianpiero Casagni (della rivista Centonove), Attilio Bolzoni (di Repubblica) e Marco Benanti (ex direttore de Le Iene Sicule). «Si tratta, ed è pure banale sottolinearlo – scrivono gli inquirenti – di giornalisti che nel passato hanno pubblicato notizie con le quali si esprimevano in maniera fortemente critica nei confronti di Montante e del sistema confindustriale siciliano». Ma se i dossier su Bolzoni e Benanti appaiono esclusivamente legati alla loro attività professionale, più intricato è il caso di Casagni.

IL CASO GIANPIERO CASAGNI
Una perquisizione del gennaio 2016 nella magione di Serradifalco ha riportato alla luce una bozza non firmata di querela nei confronti del cronista Gianpiero Casagni, in cui si legge che «dagli articoli di Centonove si deduce il possesso di documenti in passato nella disponibilità di Confindustria e andati perduti a seguito di una irruzione e di un furto nella sede di Caltanissetta».

Documenti che in effetti, scrivono gli inquirenti, non sono stati trovati nella sede dell’associazione di categoria, ma di cui Casagni ha consegnato copia alla magistratura. Si tratta del verbale di Assindustria in cui emergono i nomi del Comitato dei saggi, nominato da Montante per arrivare all’elezione di Marco Venturi a capo dei giovani industriali nisseni, prendendo il posto proprio di Montante. Comitato di cui faceva parte Vincenzo Arnone, capomafia di Serradifalco. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, quei documenti sarebbero stati portati via dallo stesso Montante per occultare la nomina.

Ma nel bunker di contrada Altarello a Serradifalco, sotto la voce Casagni è stato trovato un vero e proprio dossier con articoli del giornalista pubblicati su Centonove, una mail del 2013 in cui il cronista si candidava per l’incarico di addetto stampa di Unioncamere Sicilia; la copia di una conversazione tra Casagni e l’ex fedelissimo di Montante, Alfonso Cicero, in cui «si poteva evincere che il primo domandasse di tenerlo in considerazione qualora occorresse un addetto stampa all’Asi»; nonché una mail del 2010 in cui Casagni chiedeva a Montante se potesse «dargli una mano» a trovare un lavoro. Motivi che spingono Montante a sostenere che le ragioni di rivalsa del giornalista fossero riconducibili alla negazione di opportunità lavorative. Il gip però rigetta questa interpretazione e, piuttosto, sottolinea che «ciò che desta maggiore inquietudine è un appunto manoscritto in cui si evince che Montante avesse già raccolto informazioni sul conto del giornalista (collaborazioni lavorative e parentele della sua compagna) e si riprometteva di acquisirne ulteriori e più approfondite».

Nel 2014 Casagni invia una mail al direttore di Panorama, Giorgio Mulè, proponendogli un servizio sui rapporti tra Montante e Vincenzo Arnone, testimone di nozze di Montante oltre che uomo d’onore. Un articolo che il settimanale non pubblicherà mai, reputandola una «non notizia» e la cui proposta, ancora una volta, finisce nel bunker di contrada Altarello. «Non si fa fatica a crederlo – scrivono ancora gli inquirenti – in considerazione della natura dei rapporti estremamente confidenziali tra Montante e Mulè». 

Il 18 marzo 2015, nella sede nissena di Confindustria viene recapitato un esposto anonimo, in cui si indicava Casagni come «uomo vicino alla mafia nissena e in particolare a Di Vincenzo Piero, Tullio Giarratano, Umberto Cortese, Ivan Rando e Michele Tornatore, tutti associati e vicini alla famiglia Madonia». Di lì a breve, nell’aprile successivo, il direttore di Reti d’Impresa di Confindustria, Carlo La Rotonda, racconterà a Marco Venturi di aver fatto una bonifica della sede nissena di Confindustria, su richiesta di Montante e Diego De Simone (ex poliziotto, poi a capo della sicurezza nazionale dell’associazione di categoria). La Rotonda avrebbe mostrato a Venturi una microspia ritrovata nella sala d’aspetto, nei giorni successivi a una visita di Casagni a Confindustria: «Ho ricavato l’impressione – dirà poi Marco Venturi nel corso di una deposizione – che tutta questa vicenda fosse stata creata per far apparire il giornalista coinvolto in attività di spionaggio di Montante e che la stessa non fosse poi andata in porto per la netta contrarietà che avevo dimostrato».

IL CASO DE L’ORA QUOTIDIANO
È il novembre del 2015. Venturi e Cicero hanno già rotto da tempo con Montante e si incontrano diverse volte nella sede della Sidercem (la società di Venturi, ndr) per mettere nero su bianco i fatti che Venturi vuole denunciare ai magistrati: «A fine luglio 2014 – dice Venturi a Cicero – Montante e Lo Bello tengono un incontro informale del direttivo regionale di Confindustria presso la sede dell’associazione Centro Sicilia a Caltanissetta. A quell’incontro partecipai insieme agli altri dirigenti di Confindustria, ricordo Alessandro Albanese, Rosario Amarù, Carmelo Turco, Peppe Catanzaro. I due ci dissero di contribuire con una quota oscillante dai dieci ai ventimila euro a favore della testata online L’Ora Quotidiano, per sponsorizzare alcune iniziative del giornale».

«Montante e Lo Bello – dice ancora Venturi, intercettato mentre ricostruisce i fatti con Cicero – sottolineavano che tale sostegno poteva servire per evitare attacchi mediatici da parte dei giornalisti della suddetta testata Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza che scrivevano sul Fatto Quotidiano e che avevano intrapreso un’iniziativa di aprire un nuovo giornale online».

Secondo la ricostruzione di Venturi, Giuseppe Catanzaro avrebbe fatto avere «al citato giornale i riferimenti di diversi esponenti di Confindustria per effettuare i relativi contatti e l’erogazione del contributo. A distanza di circa un mese, effettuavo il bonifico di diecimila euro e successivamente un altro di diecimila euro. Ho saputo anche che Catanzaro, Turco, Lo Bello e Albanese corrisposero alla citata testata giornalistica dei contributi economici. Montante mi disse che aveva dato il proprio contributo nel mese di settembre 2014».

Si tratta di ricostruzioni che Venturi e Cicero fanno nella sala riunioni della Sidercem, ignari di essere intercettati. Quando Venturi testimonierà davanti ai giudici, il 12 novembre 2015, non farà alcun riferimento ai giornalisti o al quotidiano online. Rizza e Lo Bianco, dal canto loro, annunciano querele attraverso le pagine del Fatto Quotidiano e sottolineano di aver «effettivamente avviato quell’iniziativa editoriale, poi conclusa, accettando il sostegno di quel gruppo di imprenditori, senza che questo compromettesse i principi di indipendenza e autonomia si quali si sono sempre ispirati. Allo stesso modo, sul Fatto Quotidiano, prima e dopo quell’episodio hanno raccontato fatti per nulla graditi a Lo Bello e al suo gruppo di potere».

I RAPPORTI CON LIVESICILIA
Dei rapporti tra Montante e il quotidiano online Livesicilia parlerà agli inquirenti il giornalista del Sole 24 Ore Giuseppe Oddo. Quest’ultimo è stato in ottimi rapporti, almeno fino al 2013, con Montante a cui avrebbe chiesto un’intercessione per tutelare la sua posizione all’interno del quotidiano economico, dove non si sarebbe sentito valorizzato dal suo caporedattore. Motivo per cui, sentito dai pm di Caltanissetta, «avrebbe evitato di riferire circostanze compromettenti sul conto di Montante».

Oddo, tuttavia, racconta ai magistrati che nel luglio 2013 Montante gli avrebbe parlato «in modo non lusinghiero del quotidiano online, esortandolo ad attaccarlo giornalisticamente e facendogli presente che il direttore, Francesco Foresta, e uno degli azionisti, Giuseppe Amato, avessero “familiari legati alla mafia“». Secondo la ricostruzione di Oddo, Montante gli avrebbe consegnato «alcune carte, che egli aveva giudicato scarsamente rilevanti, poiché dalle stesse si evincevano, al più, notizie che potevano riguardare “il padre di Foresta per vicissitudini giudiziarie non legate alla mafia”», ma Montante avrebbe incalzato, raccontando anche di un presunto parente di Amato che sarebbe stato ucciso «in un agguato di mafia».

«Vale la pena – scrivono a commento della deposizione gli inquirenti – richiamare in questa sede le dichiarazioni di Oddo» a dimostrazione di come Montante, nel non gradire l’operato dei redattori di LiveSicilia, avesse fornito dei documenti «all’evidente fine di utilizzarlo per la redazione di un pezzo giornalistico, che doveva servire a supportare le sue illazioni circa la mafiosità di costoro». Da allora, di acqua sotto i ponti ne è passata. Francesco Foresta è morto dopo una lunga malattia il 10 gennaio del 2015. Nel suo messaggio d’addio, a conferma del legame che si era creato con Montante, ha rivolto anche un pensiero all’imprenditore, che proprio nella malattia gli è poi stato molto vicino: «Dagli angeli della speranza – aveva scritto Foresta – al mio angelo custode, Antonello. Lui sa perché. Non lo dimentichi mai».

IL RAPPORTO CON LIRIO ABBATE
Il nome del giornalista Lirio Abbate viene fuori a partire dalla testimonianza resa da Maria Sole Vizzini, revisore contabile dell’Ast, a proposito del tentativo di fusione tra la stessa società e la Jonica Trasporti, partecipata della Regione di cui Montante possedeva una piccola quota che, in caso di fusione e successiva privatizzazione dell’Ast, avrebbe comportato per Montante il diritto di prelazione sull’acquisto delle azioni in vendita.

Il presidente facente funzioni della partecipata, Giulio Cusumano, racconterà in seguito di aver ricevuto pressioni, legate anche alla sua vita privata, per concretizzare la fusione delle due società. Pressioni di cui Cusumano aveva parlato anche a Maria Sole Vizzini. Quest’ultima «aveva potuto comprendere – scrivono gli inquirenti – che ciò che le aveva raccontato Cusumano potesse avere un suo fondamento, in quanto era stata contattata dal giornalista Lirio Abbate, col quale aveva un rapporto di buona conoscenza, che le aveva domandato se corrispondessero a verità le notizie sulla vita privata di Cusumano» che circolavano.

Ma gli inquirenti precisano anche che «dal contenuto della cartella di Montante denominata Tutti emerge la sussistenza di ottimi rapporti tra lo stesso imprenditore e il giornalista Lirio Abbate, risalenti già al 2008». Colazioni, pranzi, cene, un Ferragosto insieme in barca insieme, tutti meticolosamente appuntati da Montante fino al 2013, che testimoniano quella «sussistenza di ottimi rapporti» tra i due.


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