Ars/ L’argomento della settimana: Siamo sicuri che si tratti di ‘liberi’ Consorzi di Comuni?

DOMANDE AD ALTA VOCE SULLA “RIFORMA DELLE RIFORME” IN DISCUSSIONE ALL’ASSEMBLEA REGIONALE SICILIANA

di Angela Barone

Siamo sicuri che si tratti effettivamente di “Liberi” Consorzi? La domanda non è oziosa, visto che da quanto sino ad ora approvato da Sala d’Ercole il requisito della libertà non appare del tutto presente.

Infatti i Liberi Consorzi sono stati delineati come enti necessari e obbligatori. Necessari perché identificati come gli unici soggetti legittimati ad esercitare le funzioni delle attuali Province regionali. Obbligatori perché tutti i Comuni siciliani devono far parte di un Consorzio, identificato con l’ambito territoriale di attuale appartenenza provinciale, con ulteriori limitazioni alla fuoriuscita di un Comune per adesione ad altro Consorzio o per la creazione, insieme ad altri Comuni, di un nuovo Consorzio.

Seconda domanda: siamo sicuri che si tratti dei “Liberi Consorzi” disciplinati dall’art.15 dello Statuto? 

Anche in questo caso l’interrogativo non è ozioso, visto che lo Statuto qualifica i Liberi Consorzi come enti pubblici consortili non territoriali, mentre il territorio è elemento determinate per la creazione dei Liberi Consorzi all’esame dell’Ars. Requisito essenziale per la istituzione di un Libero Consorzio è difatti la continuità territoriale tra i vari Comuni.

Altro elemento essenziale è la popolazione stanziata sul territorio, predeterminata nella sua necessaria dimensione minima. Il fatto che territorio e popolazione siano elementi necessari ed indispensabili dei Liberi Consorzi non può che qualificare gli stessi quali enti locali territoriali, identici alla Province regionali, ma diversi e distinti da quegli enti non territoriali del governo Crocetta, indieati nel 1946 dallo Statuto Siciliano.

A ciò si aggiunga che lo stesso Governo Crocetta prevede, oltre alla necessaria personalità di diritto pubblico, la applicabilità ai Liberi Consorzi dei principi e della disciplina previsti per i Comuni, nonché la potestà statutaria, e cioè la potestà di autogoverno e di autodeterminazione amministrativa.

Nulla di nuovo quindi sotto il sole: enti locali territoriali a tutti gli effetti!

Terza domanda: siamo sicuri che sia costituzionalmente corretto non prevedere per enti locali territoriali l’elezione diretta a suffragio universale degli organi rappresentativi e di autogoverno?

Questa domanda sorge in relazione a quanto in precedenza esposto, visto che l’unica differenza ad oggi evidenziabile dal progetto di riforma all’esame dell’aula tra Province regionali e Liberi Consorzi è solo la modalità di elezione degli organi, tutti identificati di secondo livello, e l’individuazione del corpo elettorale, anch’esso di secondo livello.

Epperò, poiché la suddetta riforma viene espressamente ricondotta ad una riduzione dei c.d. costi della politica, va rilevato che ciò che determina un “costo politico” non è il suffragio universale, ma la disciplina del numero dei componenti gli organi rappresentativi e delle indennità spettanti agli amministratori ex art.51 Cost.

Pertanto, poiché i Liberi Consorzi così come delineati sono enti locali territoriali al pari dei Comuni, e non enti pubblici non territoriali, viene spontaneo chiedersi se non fosse stato più semplice e più costituzionalmente corretto procedere sin da subito alla riduzione del numero dei componenti gli organi, per ridurre i comunque dovuti rimborsi-spese anche nell’ipotesi di rappresentanti di secondo livello, nonché le indennità e i gettoni di presenza, e ridisciplinare il diritto di assenza dal posto di lavoro per l’esercizio della funzioni istituzionali.

Quarto interrogativo: siamo sicuri che, insistendo sulla immediata riconduzione dei nuovi enti al Liberi Consorzi previsti dall’art.15 dello Statuto, in assenza di modifiche costituzionali, i nuovi enti non rischiano di restare esclusi dai finanziamenti comunitari e nazionali?

Questa domanda non è peregrina e sorge laddove si insista nel non voler accettare la natura di enti locali territoriali dei Liberi Consorzi, così come delineati nella riforma in discussione all’Ars.

Infatti è ritenuto motivo di orgoglio il dato che la Sicilia, ancor prima dello Stato, avrebbe abolito le Province.

Bene, se ciò fosse vero, e se i nuovi enti non godessero più della natura di enti locali territoriali, sarebbero esclusi da tutte le linee di finanziamento comunitarie e nazionali rivolte agli enti locali territoriali.

E ancora più grottescamente i nuovi Liberi Consorzi potrebbero essere esclusi dagli investimenti che il Governo Renzi intende promuovere, come primo grande atto per favorire al ripresa economica, sulla edilizia scolastica.

Buona parte del patrimonio edilizio scolastico è infatti in capo alle Province e in assenza di certezza sulla proprietà e titolarità delle stesse in capo ad ente locale, tutte le scuole siciliane di istruzione superiore rischiano di restare escluse da questo ambizioso programma nazionale.

Quinta domanda: siamo sicuri che la “riforma delle riforme” siciliana non si riveli del tutto inutile e controproducente laddove poi intervenga la abolizione a livello costituzionale delle Province?

Dubbi sorgono anche sull’utilità della trasformazione delle Province in Liberi Consorzi, quali enti intermedi di area vasta, con tutti i problemi relativi al passaggio di funzioni, personale, debiti e crediti, demanio e patrimonio, mentre è in discussione a livello parlamentare l’eliminazione delle Province dagli enti territoriali costituzionalmente garantiti.

Si potrebbe giungere al paradosso che, mentre nell’intero territorio nazionale, a seguito delle modifiche costituzionali che il nuovo Governo intende raggiungere, gli unici enti territoriali resterebbero le Regioni e i Comuni, con esclusione di ogni e qualsivoglia altro ente intermedio di area vasta, invece in Sicilia proprio questi enti intermedi di area vasta sopravviverebbero, rendendosi quindi necessaria una nuova legge di soppressione di quella oggi in discussione sui Liberi Consorzi!

Per concludere quindi va rilevato che ogni riforma, specie se di architettura istituzionale, va sempre affrontata con estremo rigore scientifico, oltre che con particolare acume politico, e va ampiamente ragionata, modellata, discussa e confrontata, e non può essere mai il frutto del casuale e altalenante voto emendativo in aula.

 

 


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